Allora, non ci ha pensato nessuno, perché nessuno sembra volersi appassionare al merito delle riforme, né alle loro conseguenze.

Se il Senato sarà approvato così, diciamo entro il 2015, in una versione che non prevede più l’elezione diretta dei senatori, ma una nomina di secondo livello, da parte dei consiglieri regionali, potrebbero capitare alcune cose non proprio banali.

La prima delle quali è che il Senato potrebbe essere sciolto dal Presidente della Repubblica (quello vecchio o quella nuova) e il governo potrebbe andare avanti fino al 2018 con la fiducia di una Camera sola, come previsto dalla nuova riforma, ma con i voti vecchi del Porcellum.

Un fatto clamoroso, se ci si pensa, anche perché il premier non è stato eletto nel 2013 e la maggioranza non è certo quella uscita dalle urne. Ma con la riforma del Senato quella maggioranza ci sarebbe eccome, e sarebbe un monocolore del Pd bersaniano (diciamo così). Bersani insomma, dopo la riforma del Senato, avrebbe vinto le elezioni, perché il Porcellum, nel frattempo dichiarato incostituzionale proprio per il premio abnorme, assicura alla sua compagine la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera (se allora non si riuscì a formare il governo, come ricorderete, ciò era determinato per la differente distribuzione dei seggi al Senato: Napolitano non mandò Bersani alle Camere per questo motivo).

Logica e serietà vorrebbero che, dopo la riforma del Senato, si sciogliessero entrambe le Camere, e si tornasse a votare, con una nuova legge elettorale, per dare al Paese una maggioranza scelta dai cittadini, contemporanea e compiutamente legittimata. Peccato che in decine di migliaia di dichiarazioni questo passaggio non si sia mai letto. E che nessuno, nemmeno il Presidente della Repubblica, l’abbia mai fatto notare.

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