Da mesi il governo e parte della sua composita maggioranza non hanno dubbi: chi si oppone all’abolizione del Senato è attaccato alla poltrona.

In questa frase-slogan-clava ci sono almeno due trucchi linguistici parecchio truffaldini: perché la proposta di Renzi non è quella di abolire il Senato (il Senato ci sarà ancora in ogni caso) e perché quasi nessuno si oppone alla riforma del bicameralismo perfetto, ma pone questioni non irrilevanti su come superarlo.

Oltre ai trucchi, che un segretario mai dovrebbe usare contro i dirigenti del proprio partito, è la fallacia dell’argomento, data per buona e scontata da tutti, a sorprendere.

Perché è del tutto evidente che rischia di più la poltrona chi non è d’accordo con il capo (vale per il Pd come per Berlusconi e Grillo) di chi ne difende sempre e comunque le ragioni. E difende sempre e comunque le ragioni del capo, anche se il capo cambia.

L’attaccamento alla maglia e alla bandiera è sincero, non sarò certo io a fare il malizioso (tutti questi sono convinti ad esempio che è meglio non eleggere i senatori, ma farli nominare dalle correnti interne nei vari consigli regionali), ma vorrei che ci fosse almeno lo stesso rispetto per chi si mette nelle scomode condizioni di non essere ricandidato, soprattutto se le liste saranno bloccate e se il capo vorrà l’ultima parola (e anche la penultima, su su fino alla prima). E vorrei che fosse rispettato soprattutto chi non si vuole ricandidare: in Senato, tra gli attaccatiallapoltrona della retorica attuale ce n’è più d’uno.

L’argomento è del tutto reversibile e parecchio forzato, quindi, soprattutto se usato dalla schiacciante maggioranza contro la minoranza.

Evitiamo trucchi, evitiamo facili etichette, discutiamo nel merito. Poi, di norma, la maggioranza vince. Potrebbe farlo con più stile e qualità, ascoltando anche qualcun altro, senza ridurlo in poltiglia solo per guadagnare qualche voto. Non è poi così difficile.

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