La riforma costituzionale potrebbe ottenere la prima delle almeno quattro approvazioni parlamentari (più eventualmente quella popolare) nei tempi desiderati – e imposti – dal Governo: la fine di questa settimana.
Da quel momento – pare – tutto andrà per il meglio, sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno. E ce n’è bisogno perché le stime di crescita, purtroppo, hanno il segno negativo, non abbiamo visto avviare nessuna politica industriale, di lavoro ce n’è sempre meno e le disuguaglianze crescono.
Se con la riforma del Senato, che non ci piace e non ci è mai piaciuta, però, tutto questo cambiasse e davvero riprendessimo a crescere, riavviassimo la produzione e il lavoro e lo facessimo con particolare attenzione alle misure per diminuire le disuguaglianze (che da anni sono l’unica cosa che cresce), allora saremmo proprio contenti.
Insomma, se dal nuovo Senato nascesse tutto questo sarebbe molto più facile accettarne tutte le bizzarrie.
Ad esempio, quella che vede un Senato di senatori-nonsenatori, cioè di senatori-sindaci e senatori-consiglieri, di rado a Roma – perché hanno già un’occupazione (e poi il premier non ce li vuole troppo, dice) – ma con solo pochi giorni di tempo per intervenire sulle leggi approvate dalla Camera (speriamo non ci siano proprio in quei giorni emergenze in città o magari un bilancio da approvare in Comune o in Regione); quella di senatori eletti dagli eletti, anziché dagli elettori, per – si dice – «rappresentare le istituzioni territoriali» (mentre forse era meglio rappresentare i cittadini sul territorio, con l’uninominale alla Camera e un proporzionale di rappresentanza al Senato), ma che, in realtà, rappresenteranno i partiti, unici artefici della loro elezione, secondo modalità di spartizione consiliare cui sono ben avvezzi. E ancora quella di senatori-nonsenatori non pagati ma soddisfatti (della nomina) e soprattutto rimborsati (consideriamo che la maggior parte del compenso dei parlamentari è fatto di rimborsi, così non ci sorprenderemo quando li percepiranno anche i nuovi senatori) e “immuni” dall’arresto anche per le loro malefatte sul territorio (di cui le cronache, purtroppo, rigurgitano…). E vogliamo parlare delle competenze: questo Senato prima non faceva niente. Ora fa un pochino di tutto, senza valorizzare però competenze coerenti con l’essere composto da rappresentanti delle autonomie, ma non conta quasi mai nulla. Non ha praticamente mai l’ultima parola e quando concorre con la Camera – che mantiene tutto il corpaccione dei suoi seicentotrenta deputati – non pesa quasi nulla.
Ad esempio, per eleggere il Presidente della Repubblica a maggioranza assoluta serviranno trecentosessantasei voti che si possono trovare quasi per intero agevolmente alla Camera, con la maggioranza “premiata” dall’Italicum, e l’aggiunta – semmai – di qualche senatore degli stessi partiti che chiaramente non rappresenterà in alcun modo le autonomie, ma anzi proprio le oligarchie. Le solite oligarchie di partito.
Ricapitolando: no indennità, ma rimborsi sì; no autorevolezza, ma immunità; no abolizione, ma sopravvivenza senza un perché.
Sorge allora spontanea una domanda: non è che sopprimendolo proprio questo Senato l’economia andrebbe ancora meglio? Che si sbloccherebbe ancora di più?
Vedrete che questa domanda tornerà presto. Perché il Senato così pasticciato tutti diranno – basta aspettare un po’ – che non serve a niente. E vorranno tornare a discuterne, come già è capitato con la legge elettorale, votata pochi mesi fa e già considerata da tutti (anche da quelli che l’hanno votata, soprattutto da loro) un pasticcio e un imbroglio.
Così sarà per il Senato. E, allora sarà davvero “buonanotte senatori”.
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