Quale sarebbe il mandato ricevuto dagli elettori e la nostra constituency, per usare due espressioni che sono state citate nelle aule di Camera e Senato in questi giorni?
Il mandato è quello di oggi o quello di quando siamo stati eletti?
La constituency si riferisce alle larghe intese nazarene o a chi ci ha sostenuto nella campagna elettorale di un anno e mezzo fa?
L’argomento sembra accademico ma non lo è affatto, soprattutto quando ci si trova a decidere su questioni delicate, tipo la riforma del lavoro o le infrastrutture o la giustizia o la riforma costituzionale.
Cosa vale di più, l’impegno preso allora o quello maturato in questi due anni? E se i due impegni confliggono totalmente tra loro?
Il precariato va ridotto o va esteso? Le grandi opere ridimensionate o aumentate nel numero e nelle proporzioni?
Nelle prossime settimane il tema sarà anche (se non soprattutto) questo. E certo, dipende dalle primarie, dove è stato eletto un segretario che è anche candidato premier. Solo che di solito è candidato alle elezioni, non a subentrare a uno schema già in essere. Almeno così dovrebbe essere. E anche questo passaggio complica inevitabilmente le cose. Sopratutto se vogliamo essere coerenti.
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