Sono favorevole alle riforme elettorali e costituzionali, le ritengo urgenti per il Paese. Purtroppo è stata fatta una brutta legge elettorale che somiglia enormemente a quella di prima. Per quanto riguarda il Senato, vi è un evidente contrasto tra la rilevanza dei compiti assegnati a quell’assemblea e una legittimazione popolare affidata alla nomina regionale. Non ho mai pensato che le riforme costituzionali non siano importanti, ho riserve sulle soluzioni escogitate.
Così oggi Massimo D’Alema in un’intervista a Dario Di Vico sul Corriere, in cui esprime anche fortissime riserve sull’operato del segretario-premier in Europa e sulla nuova riforma dell’articolo 18, oltre che sul rapporto – sempre più stretto – dello stesso con la coppia Berlusconi-Verdini (il patto del Nazareno, che in effetti supera di slancio per portata e valore la lunga tradizione di crostate e affini della Seconda Repubblica).
Viene da chiedersi perché D’Alema non abbia detto questo prima. Quando si è iniziato a discutere le riforme. Perché quando abbiamo mosso critiche puntuali – e costruttive – al sistema elettorale prescelto da Berlusconi e Renzi, avanzando proposte alternative al testo base presentato in Direzione nazionale, volendo andare verso un sistema maggioritario uninominale, anche a doppio turno (secondo quella che era stata una proposta del Pd), D’Alema non sia intervenuto. Perché, durante tutti i lavori parlamentari, non abbia mosso alcuna critica (né nessuno dei parlamentari più vicini all’ex Presidente si sia sottratto all’approvazione del testo finale).
Perché quando abbiamo proposto un Senato ancora elettivo (anche se assai alleggerito nel numero dei componenti, che volevamo tagliare anche alla Camera) con funzioni differenziate, in modo tale da superare il bicameralismo perfetto senza emarginare i cittadini dalla scelta delle istituzioni (come proprio in questi giorni sta già accadendo per le province), presentando un documento in Direzione nazionale e proposte alla Camera e al Senato, D’Alema non sia intervenuto. Perché non abbia successivamente espresso, durante i pur travagliatissimi lavori parlamentari, alcuna critica (né nessuno dei senatori più vicini all’ex Presidente non abbia votato il testo).
Quello di oggi è un risveglio, che porta a una critica a tutto campo all’operato del segretario-premier. Critica che anche sull’articolo 18 incontra le nostre posizioni di fondo. Anch’esse espresse da tempo. Dice, infatti, che «è una questione chiaramente ininfluente rispetto agli ostacoli alla ripresa economica», che non è certo al centro dello scontro politico in Europa, e che, peraltro, dopo la riforma Fornero (quella che D’Alema ha votato) è già assai ridotto, «è il minimo indispensabile. Qui si tratta della tutela dei diritti delle persone». Appunto.
Ecco, c’è da chiedersi se dopo questo risveglio Massimo D’Alema intenda davvero opporsi alla riforma dell’articolo 18 (già in Direzione nazionale), all’Italicum e al Senato dei nominati. Anche quando si tratterà di votare questi provvedimenti in Parlamento, dove l’ex segretario, ex presidente, ex premier è ancora per molti un sicuro riferimento. Le nostre proposte sono state – da subito – aperte a tutti. Il risveglio è tardivo, ma il caso vuole che ci sia ancora tempo per altre – e migliori – riforme.
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