Massimo Villone, che il problema lo aveva posto anni fa, perfettamente inascoltato dagli ‘strateghi’, scrive oggi sul Manifesto un pezzo molto condivisibile.
Il problema si coglie in tutta la sua portata considerando che oggi – e invero da anni — le scelte vanno in direzione opposta a quella necessaria. Un senato non elettivo, imbottito del ceto politico più corrotto che ci sia, indebolisce la lotta alla corruzione. Come la indeboliscono modelli istituzionali e leggi elettorali ipermaggioritarie che tagliano drasticamente rappresentanza e voci di dissenso e critica, rendono il parlamento servo dell’esecutivo, mettono la mordacchia all’opposizione. La indebolisce una lista bloccata – in tutto o in parte — che toglie la scelta agli elettori e apre la via alle spartizioni interne ai partiti. Parimenti e per gli stessi motivi la indebolisce il diffondersi di leggi elettorali ipermaggioritarie a livello regionale. La indebolisce il ricorso a modelli elettivi di secondo grado, e basta a tale proposito guardare alle tendenze spartitorie e clientelari manifestate da ultimo nelle elezioni metropolitane. La indebolisce il ricorso a primarie – in specie se aperte — che sono tali anzitutto verso le degenerazioni correntizie e non solo [su questo punto sono d’accordo molto parzialmente, perché l’inquinamento può anche essere ancora maggiore con la fabbricazione delle tessere]. La indebolisce il sostanziale azzeramento del finanziamento pubblico della politica, che apre la porta a contribuzioni spesso discutibili, quando non inconfessabili e pericolose.
Per contrastare efficacemente la corruzione in politica sarebbe oggi indispensabile un disegno strategico e strutturato. Sistema elettorale, istituzioni, soggetti politici, diritti dei cittadini e dei militanti sono tessere di un mosaico complesso in cui tutto si tiene. Fin qui è stata presa la strada sbagliata, e certo non va nel senso giusto chi disperde un patrimonio di centinaia di migliaia di tessere, come è accaduto per il Pd. Regole e scelte politiche vanno riconsiderate in funzione degli obiettivi, e tra questi la lotta alla corruzione deve avere il primo posto. Compito forse difficile, ma non impossibile per lo statista pensoso della res publica. Sempre che riesca a distinguerla dal proprio destino.
La corruzione non può essere affrontata come se fosse un fatto a se stante, un elemento non collegato (e invece lo è strettamente) con la politica, la sua organizzazione, la selezione dei suoi rappresentanti, le regole che l’accompagnano prima e dopo le elezioni. Come comprenderete, ciò riguarda la cultura del potere, la trasparenza e la pubblicità con cui è esercitato e interpretato.
Certo, ci vogliono le norme, che faticano infatti ad arrivare. Ma ci vuole anche un po’ di quel «moralismo» di cui parla Stefano Rodotà in un suo celebre elogio. Alla politica tocca intervenire su quelle e su questo, ogni giorno.
Comments (1)