Una riflessione dell'ex-sindaco di Genova Adriano Sansa sul Secolo XIX a proposito delle primarie liguri.
Una regola fondamentale delle democrazie è la possibilità di alternanza al potere e di controllo, che l’esistenza di maggioranza e opposizione garantisce. Le due forze si distinguono per idee, programmi, mezzi prescelti per realizzarli, avendo in comune la dedizione al bene generale e il rispetto della Costituzione e della legge.
Purtroppo abbiamo assistito alla sfrontata negazione di questi principi. Certo, è avvenuto al livello del governo nazionale, per una asserita eccezionalità momentanea trasformata surrettiziamente in stravolgente consuetudine politica. Ma qui in Liguria tutto succede addirittura nelle primarie, che così, da strumento di rinnovamento tanto desiderato, divengono pietra tombale sulle speranze dei cittadini già tanto delusi e orientati all’astensione.
Come tollerare, senza contemporaneamente cedere una prerogativa della democrazia, che la destra voti i candidati della sinistra? Non è solo una pagliacciata goliardica, ma un colpo all’integrità morale della politica. Da settimane avveniva nelle diverse sedi delle riunioni promosse dalla candidata Raffaella Paita, che lo ha accettato.
Ed è così accaduto nella consultazione, come è provato con certezza e ammesso spregiudicatamente dall’interessata. Basterebbe questo, anche se non si dovesse provare il sospetto di gruppi di immigrati inconsapevoli, e non aventi diritto al voto regionale, condotti dietro compenso alle urne (così trattati sarebbero oggetto di disprezzo e non di una apertura agli stranieri di cui si favoleggia). Basterebbe per vanificare il significato della consultazione e per imporne l’annullamento, se vi fosse un onesto sistema di garanzia.
Si oppone ancora, da parte della attuale vincitrice, un argomento: che lo scarto dei voti tanto elevato escluderebbe un effetto determinante degli eventuali circoscritti imbrogli. Tesi inammissibile, addirittura sconvolgente, perché sarebbe sufficiente la connivenza con uno solo dei trucchi denunciati per rendere indegno il candidato che ne beneficiasse.
Si trascura doppiamente il fatto che la nostra non è una regione abitata da anime morte disposte a farsi dominare da gruppi di potere comunque formati; la violazione della procedura che esige chiarezza di posizioni, leale distinzione di forze e progetti, poi di governo e opposizione, è sufficiente a sancire l’impossibilità della candidatura di chi la commette.
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