Siccome prosegue la resistibile saga sul parassitismo (ora il senatore-del-canguro spiega che la definizione varrebbe solo per me, mi dicono, andando in tv e su Twitter, dopo essersi scusato, eh), vale la pena di riprendere la definizione classica del termine.
Per rispondere, come sempre, con classe a chi continua a insultare: parassita si intende come addetto al culto della divinità. Preciso.
PARASSITA (gr. παράσιτος). – In origine si designarono in Grecia, particolarmente nell’Attica, col nome di parassiti alcuni addetti al culto di varie divinità, la cui principale funzione era di fornire le granaglie da servire per i banchetti che accompagnavano i sacrifici e di mantenere gli animali destinati a vittime in onore della divinità. Oltre a questi funzionarî di carattere sacro, altri ve n’erano, con la stessa denominazione, negli stati della Grecia con funzioni civili. Gli arconti avevano ai loro ordini ciascuno due parassiti, che, a quanto sembra, avevano l’incarico di riscuotere alcune tasse fisse gravanti sulle derrate in genere, e in specie sul pesce. Ma la voce παράσιτος perdé a poco a poco il suo significato onorifico per assumere quello di scroccone sfrontato, e come tale divenne il nome di un personaggio scenico.
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