Mi scrive Paolo Cosseddu, a proposito di alcune cose sentite oggi all'assemblea A sinistra nel Pd.
“Questo partito – questo Renzi lo ha capito benissimo – è un partito nel quale si vince giocando dall’interno e dall’esterno. Una buona parte delle forze che sostengono la leadership di Renzi non è formata da iscritti al Partito Democratico. E lui ha trovato il modo di organizzare queste forze esterne: il sistema delle Leopolde si va diffondendo in ogni parte del Paese. Io penso che noi dobbiamo trovare un modo creativo di organizzare – non di fare gli iscritti alle correnti del Pd: per piacere, no – ma di creare una grande associazione per il rinnovamento e la rinascita della sinistra, che non sia e che non voglia essere un nuovo partito politico, ma che si proponga di offrire uno spazio di partecipazione e di riflessione a tantissimi cittadini, membri del Pd o non membri del Pd, che costituiscono una ricchezza che questo Paese non può disperdere”: così D’Alema oggi, all’assemblea A sinistra nel Pd, e chi l’avrebbe mai detto che a un certo punto Massimo D’Alema avrebbe capito, anzi, avrebbe auspicato la Leopolda, lo schema che gli sta dietro?
Chi l’avrebbe detto che avrei sentito dire da Massimo D’Alema le stesse, identiche cose che mi sono ritrovato a ripetere per mesi e mesi, nel mio giro di quasi tutte le regioni italiane per la presentazione dell’Associazione Possibile che lanciammo l’anno scorso a Livorno? E chi – infine – avrebbe mai detto che questo discorso, questo schema di lavoro che ci era già tanto chiaro quando nel 2010 mi ritrovai tra gli organizzatori della prima Leopolda, solo cinque anni dopo sarebbe diventato così poco comprensibile per quella parte di sinistra e di centrosinistra che per le profondissime divergenze che si sono ulteriormente chiarite nel tempo, quel progetto lo ha abbandonato?
Per me era chiarissimo, nell’ottobre del 2010, che quando Sergio Staino salì sul palco a fare l’intervento forse più significativo di quella prima edizione, quello più simbolico, non lo faceva in quanto invitato a una convention di partito, perché persino l’inventore di Bobo e del racconto satirico che ha accompagnato tutta l’evoluzione della sinistra italiana sapeva perfettamente che non era quello il punto, il punto era riconoscere il progetto culturale che c’era dietro a ciò che stavamo facendo, riconoscere ciò che rappresentava e sentirsene parte malgrado una provenienza politica ed anagrafica molto differente.
Staino capiva esattamente a cosa serviva la Leopolda, e negli anni successivi lo capirono altrettanto bene (cambiandola in profondità) Baricco con le sue navi da bruciare, Farinetti, e tanti altri fino al finanziere Serra: tutta gente a cui del Pd in quanto Pd non importava e non importa nulla – e così al loro anfitrione, che non a caso ha sempre parlato del Pd di cui oggi ironicamente è segretario come di un mezzo e non un fine – gli importava invece e pure molto il modello di Paese che quel luogo stava delineando, un anno dopo l’altro. Tanto da mettere al servizio di quel progetto loro stessi, la loro capacità di rappresentare persone, di raccogliere idee e risorse. Non si trattava di costruire una corrente o una minoranza, ma di dare forza a un’idea più complessiva e più grande di governo del paese, ed è ancora questo il compito che ci dovremmo dare avendo vissuto come un tradimento l’evoluzione (per tacere del suo rapido invecchiamento) di quello originario.
Ed è incredibile che malgrado il tempo che è passato e le dimostrazioni empiriche ormai clamorose se ne debba ancora discutere, che non se ne capisca il senso, che questi anni non abbiano portato questa consapevolezza. Pensare che l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi sia come la fine della storia di Fukuyama, che si debba accettare questa realtà come immanente e ci si debba accontentare solo di lavorare sugli spazi residuali, sulle ridotte (sulle correnti), è un errore incomprensibile e fallito già in premessa, perché rinuncia a quella missione pensata del 2010, il cui scopo era ed è corretto: riunire una forza che vada ben aldilà di queste anguste e misere gabbie. Una forza che, se riunita, è come la pistola di Cechov: una volta che compare in scena, qualcuno poi la usa, Pd o non Pd.
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