Cavoli, mi tocca già preparare la seconda edizione de Il trasformista, il libello in cui cerco di raccontare l’incessante metamorfosi che sta subendo (quasi) tutta la politica italiana.
Dopo il caso ligure, con la partecipazione straordinaria della destra ai gazebo, ora si afferma il caso Agrigento: non solo partecipano dichiaratamente gli elettori della destra, ma anche i candidati della destra. Una notevole innovazione. E così un esponente che viene da Forza Italia vince le primarie del Pd. Son cose. Del resto, nel Pd siciliano entrano più o meno direttamente esponenti che avevano governato di persona, personalmente con Cuffaro e Lombardo. Il cerchio si chiude.
Poi c’è il Parlamento: oggi il Fatto aggiorna il contatore dei cambi di gruppo. Uno spettacolo da grandi migrazioni del National Geographic: 185 parlamentari in movimento, 235 cambi di gruppo, c’è chi ne ha cambiati sei, chi è passato da Grillo ad Alfano, chi ha mollato il M5s, chi ha sciolto Scelta Civica, chi ha dimenticato Berlusconi, chi si appresta a lasciare Salvini.
Ormai è più complicato seguire i flussi parlamentari dei flussi elettorali. E non è un caso. Perché il grande nemico della palude, il segretario che avrebbe dovuto sbaragliarla, l’ha di fatto istituzionalizzata. All’insegna di una particolare declinazione dello slogan del «cambia verso».
E poi, da non dimenticare, ci sono quelli che stanno all’opposizione sotto mentite spoglie: sono i verdiniani, pronti a entrare al governo, nel caso si rompesse il Pd o saltasse Ncd.
Ciò inevitabilmente si riflette sulla composizione della maggioranza di governo: le larghe intese con Berlusconi, nate per durare due anni (ora saremmo già in campagna elettorale), si sono traformate in una vera e propria chimera, con il corpo del Pd e la testa del suo segretario, le zampe dei centristi, la coda di chi faceva parte del Pdl, e già si intravede la criniera di Verdini, appunto.
Dal punto di vista dei numeri, al Senato la maggioranza è risicatissima, come è stata risicatissima la maggioranza che ha votato a favore delle riforme costituzionali. L’impegno ovviamente era diametralmente opposto: le riforme si fanno condivise, insieme, con lo schieramento più ampio possibile. Infatti le fa il Pd da solo, con i ritagli della destra. Quanto al governo, se Ncd si spezza, non c’è problema, si sceglierà qualcuno che possa dare un contributo, non importa la provenienza, importa l’obiettivo: il 2018.
Solo che c’è un finale epico e pericoloso un po’ per tutti: perché se le riforme (costituzionale e elettorale) saranno pronte per l’estate-autunno, è molto probabile che nel 2016 si voterà, prima per il referendum (che la chimera immagina come un plebiscito) e poi per le elezioni. E lo stesso potrebbe capitare anche nel caso in cui le riforme fossero modificate o bocciate.
Chissà che cosa si inventerà questo grande gruppo misto per evitare la scadenza anticipata della legislatura. Se non fosse vero e drammatico e fosse solo una trama fantasy, sarebbe anche appassionante.
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