Nel libro La condizione necessaria che esce dopodomani in libreria, parlo della corruzione e delle mafie non come «romanzo criminale», ma come «romanzo nazionale». Dalle Alpi alle Piramidi, potremmo dire, la corruzione è storia del nostro Paese: Expo, Mose, Mafia Capitale, sono le ultime drammatiche puntate.
Oggi Massimo Villone ne scrive sul Manifesto, parlando di un «romanzo letto al contrario»:
Abbiamo capito. La corruzione è il vero romanzo italiano, e un nuovo Manzoni ci scriverebbe il sequel ai Promessi Sposi. A quel che si legge, nell’inchiesta su Ischia c’è tutto. Il politico che rimane a galla trasmigrando da una sponda all’altra; i partiti di successiva appartenenza che abbracciano il suo pacchetto di voti; i funzionari compiacenti che firmano le carte partecipando al maltolto; i parenti; il fangoso rapporto tra politica, amministrazione, denaro; l’impresa, per di più ammantata di una storia antica e persino un tempo nobile; il politico potente, magari un po’ decaduto. E soprattutto l’omertà di tanti, che certamente sapevano o sospettavano, e hanno valorosamente taciuto.
È l’Italia di oggi. Un remake con un copione nemmeno originale, che non ci insegna nulla di nuovo. Ma ci dà l’ennesima prova di quanto debole sia l’argine che la politica vorrebbe costruire. Il disegno di legge contro la corruzione arranca in senato, e va ancora ricordato che il disegno di legge AS 19 a firma di Grasso e altri fu presentato il 15 marzo 2013, all’avvio della legislatura. Sono passati due anni, e non più di un mese fa venne negata l’urgenza.
La lotta alla corruzione arranca, mentre continuano le fibrillazioni sulla questione della prescrizione. Il punto è che una parte della maggioranza considera la corruzione come un peccatuccio, da confessionale piuttosto che da galera. La riluttanza di pezzi della politica verso interventi drastici riflette il pensiero di pezzi del paese che con la corruzione vivono senza problemi. Perché ne approfittano, perché la tollerano, perché pensano che non li riguarda.
Comments (0)