«Manca». Non nel senso che il titolo non c’è, ma nel senso che il titolo è proprio quello: «Manca». Quando diciamo «a destra e a manca», manca significa «sinistra», da cui l’aggettivo «mancino». […] C’è un altro doppio senso, ancora più casuale, e abbina la mano «manca» all’omonima voce del verbo «mancare», un verbo molto comune ma anche un termine tecnico della psicoanalisi dove la mancanza è contemporaneamente assenza e desiderio, «the black want» di una poesia di Samuel Beckett intitolata «Cascando».
Così si è espresso Stefano Bartezzaghi, a Livorno, il 13 luglio 2014.
Manca non nel senso che non c’è, aggiungerei io, ma che si è divisa, dispersa, è rimasta a casa, non si sente ‘chiamata’ da nessuno. Tra voice e exit, preferisce la seconda.
Lo avevo scritto più di un anno fa che si poteva immaginare qualcosa di diverso.
L’ho anticipato a Left e a Giulio Cavalli la settimana scorsa.
Una chiave di lettura che è una chiave di apertura. Alla pari con altre soggettività, con altri movimenti, solo per dare una forma più complessiva e capace di rappresentare chi si sente escluso.
Leggete tutto quello che segue come una proposta, di più: come una domanda. Come una formula inedita. Non come un atto di presunzione, ma una soluzione che si propone a tutti coloro che sentono la stessa esigenza.
Se manca anche a voi, insomma, lo facciamo insieme. Con il volto di quelli come Luca Pastorino. Fresco e però rigoroso, determinato ma mai arrogante. Legato al suo tempo e ai valori antichi della politica.
Di scissioni ce ne sono già state parecchie (almeno due, recentemente). Questa non lo è. Per niente, è il suo contrario: una ricomposizione. E ci sono stati parecchi tentativi di costruire partiti a sinistra. Non vogliamo ripercorrere quelle strade, poco fortunate, ma semmai prendere il meglio dalle esperienze vincenti (come quelle sui beni comuni, correva l’anno 2011) per andare oltre: perché la nostra ambizione deve essere quella di dare al Paese un governo di sinistra, laico, repubblicano e moderno e non solo una buona sinistra.
Un social e political network, si direbbe se usassimo quegli anglicismi così di moda.
Costruiremo un soggetto solo se sapremo rilanciare sui temi che stiamo già frequentando da tempo: la lotta alla corruzione e alla mafia, le riforme fatte con cura costituzionale, una politica economica che non si riduca alla gestione dell’esistente, il reddito minimo che hanno tutti tranne noi, la progressività fiscale vera e non solo immaginaria, la parità salariale tra donne e uomini e la corretta applicazione della legge 194, il fine vita (con il nostro amico Max e le tante persone che attendono una risposta che non arriva mai), il cambiamento climatico e le sfide per il futuro.
Chi pensa che innovazione significhi liquidare la tradizione, si sbaglia. Tradizione e innovazione non sono l’una contro l’altra, e l’innovazione a cui stiamo assistendo ha molti elementi conservativi e regressivi.
Possibile nasce dal basso, come la Repubblica che festeggiamo oggi, frutto del voto libero di donne (per la prima volta) e uomini in un referendum con il quale scelsero, assieme alla forma repubblicana, l’uguaglianza sostanziale che ha come suo presupposto indefettibile la partecipazione di tutti i cittadini (come prevede l’articolo 3 della Costituzione).
E infatti intendiamo proporre ai nostri compagni di viaggio – alle sigle già note, ai movimenti meno conosciuti, alle forze civiche – alcuni referendum, perché la nostra ossessione è restituire al popolo la sovranità e quindi l’alternativa saltando a piè pari le larghe intese, restituendo il ‘comando’ alle persone. Aprire nuovamente la discussione tra cittadini, anche perché le politiche che vengono oggi portate avanti non le aveva promesse nessuno.
Il nostro obiettivo può passare attraverso alcuni quesiti referendari, idonei a scardinare una visione verticistica della società. Ad esempio, i quesiti possono intervenire sulla legge elettorale (anzitutto per togliere di torno i nominati e i vincitori a prescindere), sullo sblocca-Italia, per garantire la concorrenza (concessioni autostradali) e la riconversione ecologica dell’economia (trivelle), sul Jobs Act e la riforma della scuola. Oltre che su questi temi continueremo a impegnarci, anche attraverso gli strumenti di partecipazione popolare diretta, sulla legalizzazione della cannabis, così portiamo l’intergruppo a discuterne e ad arrivare a un punto più avanzato.
Avremo una sede a Roma, ma vi chiediamo di organizzarvi localmente, di scegliere tutti questi temi (che sono anche campagne) come occasione per discutere.
Sarà un movimento di autonomia: il minimo indispensabile di burocrazia, un’adesione leggera e però partecipativa. Organizzati dando un valore preminente all’orizzontalità, perché le esperienze migliori si conoscano, entrino in relazione, si promuovano sul territorio. Con uno statuto che riconosca e garantisca il ruolo di chi partecipa in ogni momento decisionale ad ogni livello.
Una proposta che faccio a tutti quelli che possono essere interessati, a cui manca qualcosa.
Un sasso nella palude, quella grande, ma anche quella piccola, la nostra, tra mille sigle e mille rivalità: per innovare la sinistra come qualcuno ha innovato il centro e la destra. Non alla ricerca di una identità, ma dei valori che ci distinguono e contraddistinguono.
Una proposta di governo: non solo per il futuro, per il presente.
Il patto repubblicano di Bologna è la nostra base di partenza: il rispetto delle istituzioni, la laicità, la liberalità, la cultura della differenza, la ricerca di ciò che è andato perduto, muovendo dalla casa di Pertini per arrivare all’innovazione dell’ambientalismo, dell’economia circolare, delle sfide della nuova cooperazione.
Il simbolo dice che vogliamo lottare contro le disuguaglianze. Il colore ci ricorda che ci vuole passione, che l’indignazione conta ma non è sufficiente, che la razionalità ci deve sempre accompagnare.
Il nome ci dice che ci sono sempre alternative nella vita, sempre. Ci sono altre possibilità, ci sono momenti in cui rendersi conto che si apre davanti a noi un’altra strada. E che può essere presa con determinazione, senza paura.
Il 21, il primo giorno d’estate, presenteremo questo percorso a Roma. Come un sogno di mezza estate, appunto. E qualcosa però di molto concreto, per cambiare davvero questo Paese (che è l’Italia ma è anche l’Europa, per tutti noi).
La settimana successiva invitiamo tutti coloro che sono interessati a incontrarsi nella loro città, nel loro quartiere, nella loro zona, per capire chi ci può stare. E da dove si può ripartire.
E a metà di luglio ci confronteremo in un luogo ospitale e accogliente, come sa chi ha partecipato ai nostri Camp degli anni passati. E lo decideremo insieme.
Per ora, se siete interessati, se anche a voi ‘manca’ qualcosa, potete aderire al nostro progetto qui.
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