Come sapete è un periodo in cui ci si interroga sul futuro a sinistra, quella che manca.
Ho posto in proposito una questione alcuni giorni fa (che trovate qui) e questa questione ne richiama immediatamente un'altra.
La domanda è più o meno questa: quando si tornerà a votare (perché prima o poi si tornerà a votare, giusto?) si voterà con un sistema elettorale in cui tutto è incentrato sulla figura del capo. Capo della lista, cento nominati dal capo e da chi lo accompagna, eventuale (quasi certo) ballottaggio tra due capi. Come sapete sono anche escluse le coalizioni al primo turno e gli apparentamenti al secondo, per cui nella lista del capo dovranno entrarci subito tutti coloro che vorranno partecipare.
Ora, i partiti e i movimenti più seri faranno due cose: sosterranno la proposta referendaria volta ad abolire tutta o in parte questa schifezza e, nel caso in cui rimanesse, metteranno a disposizione tutto quanto ai loro elettori, senza nominare alcuno dei capilista e cercando di motivare chi si candiderà nella quota legata alle preferenze (come sapete, soltanto i primi due schieramenti avranno la possibilità di eleggere qualcuno con le preferenze, tutti gli altri si arrangeranno con i 'bloccati'). Però, per ora, la domanda è un'altra ed è, riprendendo il ragionamento, la seguente: chi non è d'accordo con il capo, si candiderà con il capo nel sistema "a capo" che è stato creato?
Chi non ha votato le principali riforme dell'attuale governo, per capirci, voterà l'attuale premier senza condividerne il programma presente e quello futuro? E chiederà la fiducia dei cittadini verso una figura e una politica rispetto alla quale gli è capitato di non votarla o di dichiararsi sfiduciato (è capitato anche a me, lo dico senza presunzione)? E si candiderà a sostenerlo? E volantinerà Jobs Act, Sblocca Italia, Buona Scuola, Rai (del capo), riforme e controriforme? E attaccherà con il capo tutto quello che si muove in dissenso, i movimenti, i sindacati, gli ambientalisti e le altre forme di vita non riducibili al pensiero unico? E si adatterà al linguaggio del capo? E chiederà di votare per una ditta in cui non si riconosce più cinque giorni alla settimana su sette?
La domanda non è maliziosa ed è quasi pre-politica: come farà?
Perché capisco chi è d'accordo ed è legittimo: chi sposa la linea ha tutti i torti o tutte le ragioni. Ma chi non è mai d'accordo e puntualmente esprime il proprio disagio, invocando la guerrilla, denunciando crimini e omissioni, chiamandosi fuori da ogni decisione, come farà? Ci fossero i collegi uno potrebbe dire: sono il deputato di Collegno o di Trani, tipo negli Usa, che si trovano anche esponenti dei due blocchi che fanno riferimento a diverse culture, che prendono le distanze dal Presidente, anche perché laggiù non si vota insieme, in un pacchetto del capo, tutto quanto. Oppure può dire: mentre approvavano quelle cose brutte, stavo facendo il sindaco, l'assessore o il consigliere e non ero d'accordo. Per la serie, io non c'entravo. Però poi tutte insieme queste contraddizioni bisognerà prenderle in considerazione e assumersele. All'atto della candidatura, diciamo così, dovrà dire: io c'entro (che richiama uno slogan dell'Udc e non è un caso).
La domanda è banale e ne porta un'altra con sé: siccome prima o poi si voterà (vero?), forse è il caso di pensarci prima. Che ne dite? Anche perché siamo d'accordo sul fatto che il programma del 2013 è stato ribaltato e che la battaglia è giusta, ma il programma del 2016 o 2017 o 2018 (a seconda della resistenza parlamentare) o lo si condividerà oppure no. Anche sulla base di quanto è accaduto in questi due anni, non proprio semplicissimi, in cui sono volate parole grosse: «autoritario!», «gufi!», «eversivo!», «eversivi!». E poi che si fa? Una lista tutti insieme?
Non è meglio ricominciare da capo e non dal capo. Ai poster (elettorali) l'ardua sentenza.
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