Da tempo sostengo che chi va per la palude alla fine ci si impaluda.
Molti, per mesi, hanno vissuto con sarcasmo questa analisi. Forse perché alle larghe intese politiche si erano opposti in pochi, a sinistra, sottovalutando la catena del trasformismo, che ha contagiato ormai quasi tutti. Con una buona dose di conformismo a coprire tutto e a negare persino l’evidenza.
Come in quel libro di Manganelli, in cui la palude diventa definitiva: andare a Palazzo senza passare dalle elezioni, scegliersi i partner che si sono sempre disprezzati (Alfano, Casini e altri di cui si erano passati anni a far caricature) e lo stesso Berlusconi come sponda, non ha bonificato la palude, l’ha allagata ulteriormente.
E l’uomo che ci doveva portar fuori dalla palude, che aveva vinto il congresso gridando: “mai più larghe intese,” è diventato l’uomo del “mai più senza larghe intese!”.
Oggi lo scrive financo Ezio Mauro. E non è un caso che sia la Rai il trionfo dello schema paludoso di un leader impaludato: un Cencelli al millimetro, l’accordo con Berlusconi, i pensionati come compimento del giovanilismo, le incompatibilità (sostanziali e forse anche formali), l’eterno ritorno dell’uguale sotto forma del tutto e del suo contrario, alla faccia della rivoluzione promessa e mancata.
Scrive Manganelli:
Come tiranno io sono, credo, del tutto simile a coloro che hanno occupato la casa della palude, forse solo ora io sono diventato uno di loro, un re come quelli furono re; ma so anche che questa mia condizione mi viene conferita dalla palude nel corso di un ludo teatrale, un gioco notturno, una delle innumere metamorfosi di questo luogo in cui l’identità si coniuga alla difformità.
E così, nel gioco di House of three Cards, tutto si confonde, si opacizza e, come è accaduto la scorsa settimana, con il voto politico sul caso Azzollini e l’ingresso di Verdini, si infanga.
La palude si sconfigge prescindendo da essa, con caparbietà e ostinazione, soprattutto quando non è di moda. Immergersi nelle sue acque non è mai una soluzione.
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