Il rapporto di Germanwatch (Legambiente lo commenta qui) boccia senza appello le politiche governative sul clima, che vedono l'Italia agli ultimi posti tra i Paesi principali emettitori, mentre ci promuove per i trend positivi di sviluppo delle rinnovabili e di miglioramento dell'efficienza (eredità positiva, va detto, dell'ultima stagione prodiana e di Bersani ministro dello sviluppo).
Peraltro va sottolineato che l'aumento delle rinnovabili ha subito un colpo durissimo negli ultimi due/tre anni proprio per effetto di norme varate dai governi Monti, Letta e Renzi che hanno colpito i meccanismi di incentivazione delle energie pulite. A tutto questo va aggiunto il bassissimo profilo tenuto dall'Italia qui a Parigi, con un ministro dell'ambiente sostanzialmente assente e nessun significativo, percepibile impegno del nostro Paese sul fronte globale e intra-europeo dei negoziati.
L'Italia, certo, è undicesima nella classifica generale, grazie al traino di dinamiche positive come la riduzione delle emissioni e l'incremento delle rinnovabili (la prima dovuta molto alla crisi, la seconda al boom degli anni scorsi. Ma nella classifica che misura l'intensità e l'efficacia delle politiche nazionali sul clima siamo ultimi, cinquantunesimi su 51, perché non abbiamo fatto investimenti pubblici nella sostenibilità energetica e nell'adattamento climatico, per le norme contro gli incentivi alle rinnovabili, per il piano trivellazioni.
Da Berlusconi a Renzi c'è (almeno) un filo comune inequivocabile: il tentativo sistematico di uccidere le energie rinnovabili, cioè uno dei rari caso di successo ambientale, industriale, occupazionale nell'Italia degli ultimi dieci anni.
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