La traccia dell’intervento del vostro affezionatissimo, oggi, alla Camera.
Tra cinque anni o forse anche prima ci troveremo a discutere della necessità di abolire di un Senato, piccolo, equivoco e senza importanza.
Piccolo, equivoco e senza importanza, ma capace di creare un vero e proprio caos, anche perché può intervenire sulla questione più importante della vita parlamentare: la riforma della Costituzione.
Ci troveremo a discutere di una legge elettorale che avrà definitivamente ucciso la rappresentanza. E ce ne lamenteremo, oh sì, diremo cose terribili.
Però, intanto, oggi, la maggioranza voterà questa revisione della Costituzione.
Il trionfo della crisi della democrazia e della rappresentanza
La riforma non è una risposta alla crisi della democrazia e della rappresentanza, al disorientamento dei partiti e della loro funzione storica: è l’inveramento, il trionfo di questa crisi.
Avremmo dovuto lavorare sulla diffusione del potere, favorire la partecipazione politica dei cittadini, e la centralità del Parlamento, mentre al contrario così la riforma porta la crisi alle estreme conseguenze, dice giustamente oggi Gaetano Azzariti.
Calamandrei ma non posso: una riforma del governo per il governo
Altro che Calamandrei, che invitava il governo a un atteggiamento di grande umiltà rispetto alla Costituzione: qui si tratta di una riforma del governo fatta per il governo.
Del resto, su trivelle, depenalizzazione della cannabis, reato di clandestinità stiamo ammirando, davvero ammirando, come il governo rispetti il lavoro del Parlamento e le iniziative delle cittadine e dei cittadini. E non c’è ancora la riforma. Figuriamoci quando ci sarà.
D’altra parte è chiaro che si limita la possibilità di ricorso agli strumenti di partecipazione politica, dal basso: del resto, qui non si discute del fine-vita, né delle altre proposte di iniziativa popolare su temi centrali per la vita delle persone. Quindi, perché stupirsi?
Il Porcellum con le ali
L’Italicum, un Porcellum con le ali, completa il quadro. In un sistema che diventa una filiera perfetta, tra partiti, governo e Parlamento. Tutto sotto controllo, una cosa dentro l’altra, in una sorta di matrioska incostituzionale.
Le alternative c’erano tutte
Meglio sarebbe stato superare il Senato definitivamente.
Meglio sarebbe stato aprire una riflessione e un dibattito pubblico sulle autonomie locali, non accentrare tutto quanto ancora una volta nelle mani del governo, ricoverando in una sorta di ospizio i consiglieri regionali e qualche sindaco, pescato a casaccio nelle diverse regioni.
Non è né una Camera delle Regioni, né un organo di garanzia.
Non è né vivo, né morto.
Uno dice: però così si semplifica. E non è vero nemmeno questo.
Un testo che ha mostruosi problemi di funzionamento
Perché obiettivamente si tratta di un testo impresentabile, pieno di contraddizioni e difficoltà e insidie attuative. Dall’assurda costruzione di un Senato rappresentativo – non si sa come – di autonomie territoriali di cui sono contraddittoriamente ridotti i poteri, a un procedimento legislativo che assume una quantità di variabili capaci di buttare la legislazione in un vero caos, allo scopo evidentemente di consegnarne le chiavi al governo, ancora più di ora.
E del resto, mentre l’iniziativa legislativa dei cittadini rimane priva della possibilità di imporsi (salvo un generico rinvio ai regolamenti) è quella del governo – ci mancherebbe – ad essere rafforzata con il voto a data certa.
Senza considerare le difficoltà di stabilire quali leggi siano bicamerali, potendo dar vita a conflitti che certamente non è detto che l’accordo tra i presidenti delle Camere – pur auspicabile – sia in grado di risolvere. E se non ci riescono? Dovrebbe intervenire la Corte?
C’è poi il pasticcio del controllo preventivo sulla legge elettorale.
L’indebolimento della Corte costituzionale, attraverso la sottrazione dell’elezione al Parlamento in seduta comune per attribuirne tre a una Camera dominata dalla maggioranza “italica” e due a un Senato che sappiamo.
Per non parlare delle numerose disposizioni vuote: dalla valutazione delle politiche pubbliche, rimessa al Senato insieme ad altre funzioni che non sono in alcun modo definite e che già si sta discutendo su cosa possano significare (come dire: “Senato, trovati un ruolo, se puoi, se ne sei capace…”) alla finta introduzione di un referendum propositivo che lascia poi alla legge costituzionale (che è quindi come ricominciare da capo) la sua definizione…
Non continuo soltanto per carità di patria.
Il ‘Piano’
Non si può affrontare la riforma come separata dall’Italicum perché, non prendiamoci in giro, è stata pensata insieme, elaborata insieme: è un piano, quello del governo. Ed è stato un errore – per chi dissente all’interno della maggioranza – non averlo fermato. E un rinsavimento, un moto d’orgoglio costituzionale, non sembra, al momento, atteso né per questo voto, né in seconda lettura. Neppure in quel Senato in cui gli equilibri politici consentirebbero una valutazione più ponderata.
«Né pentere e volere insieme puossi»
Come voteranno all’eventuale referendum costituzionale coloro che definiscono l’Italicum una pessima legge elettorale e la riforma costituzionale largamente pasticciata e in parte irricevibile? Voteranno sì, come voteranno sì oggi e, appunto, nel prossimo passaggio parlamentare, Ecco si sappia che chi vota a favore non ha poi titolo per lamentarsi dei risultati che il famoso “combinato disposto” produrrà. Chi vota a favore è d’accordo per definizione.
Chi sono i veri conservatori?
Ci si dice: siete conservatori? Ma tutto quello che è accaduto con queste riforme non avviene forse per conservare se stessi, equilibri politici mai votati dai cittadini, trasformismo dei programmi e delle opinioni, larghe intese prorogate sine die e pronte a riproprorsi, un centro politico intorno al quale far gravitare tutto quanto?
Strappiamo tutto quanto
E così, dopo sedute a oltranza, fiumi e canguri (e viene in mente il titolo di un libro di Aldo Busi), votazioni con fiducia, il complesso delle iniziative del governo si compie con una lettura plebiscitaria del referendum costituzionale (in perfetto stile gaullista, per citare il precedente meno imbarazzante). Strappo dopo strappo, strappiamo tutto quanto.
Il nostro no
Noi voteremo no, in ragione di una coerenza di posizioni che ci accompagna fin dall’inizio della legislatura, che doveva essere breve e, nonostante la sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale, che ha sancito l’incostituzionalità della elezione di queste Camere, è diventata infinita.
E riproporremo fin da domattina una campagna con le nostre proposte.
Ricordiamo che depositammo una riforma più complessiva e equilibrata di questa, A.C. 2227, presentata il 25 marzo 2014 (due settimane prima del testo del governo): un’alternativa ragionevole e più condivisa.
Si trattava di una proposta di semplificazione, per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari e lo snellimento del procedimento legislativo, che aveva al centro 5 punti:
1. riduzione del numero dei parlamentari in entrambe le camere, secondo gli impegni presi con gli elettori e – almeno a parole – condivisi da tutti.
2. valorizzazione del ruolo dei cittadini e della loro partecipazione politica, mantenendo il suffragio universale per entrambe le Camere. E soprattutto la riforma che proponevamo dava spazio alla democrazia diretta, abbassando in modo lineare (e non contorto come in questo testo) il quorum per il referendum, prevedendo espressamente la sottoscrizione elettronica (come per l’ICE) e rendendo vincolante l’iniziativa popolare che – secondo quanto proposto da Mortati, se non discussa entro un certo termine sarebbe stata sottoposta a referendum e votata direttamente dai cittadini (che così avrebbero anche avuto un reale strumento propositivo e non soltanto abrogativo);
3. semplificazione delle procedure, cioè più chiara distinzione dei poteri delle due Camere costituzionalmente prevista: alla Camera, la fiducia e la legislazione ordinaria; al Senato, la legislazione costituzionale e sulle questioni di maggiore rilievo e garanzia, espressamente indicate negli articoli della Costituzione, e compiti di controllo sull’attività del Governo, a partire dalle nomine governative.
4. garanzia dell’equilibrio tra poteri, nel rispetto dei cardini della forma di governo parlamentare: con le Camere che – secondo le diverse competenze – svolgono un controllo sull’Esecutivo, mentre ciò che si intende realizzare sembra l’opposto, mettere il Parlamento sotto il controllo del Governo e in particolare del premier.
5. garanzia delle autonomie, correggendo le storture che la riforma del titolo V ha prodotto, ma senza rinnegare l’importanza delle autonomie locali come livelli di governo più prossimi ai cittadini e quindi spesso più adeguati a compiere le scelte politiche e amministrative meglio rispondenti alle necessità dei cittadini.
Ecco, che è quindi dalla chiarezza delle nostre idee, dalla presenza di un progetto alternativo, che senza umiliare la Costituzione e rovesciarne i suoi equilibri, sappia rendere il quadro costituzionale più semplice ed efficiente, è da qui che intendiamo ripartire perché tutto non sia perduto, perché quella Carta fondamentale votata da quasi il 90% dei costituenti non diventi come una qualunque leggina approvata dalla sola maggioranza (resa tale da un premio incostituzionale). Lo faremo ancora una volta con i cittadini e – auspichiamo – con le forze politiche e sociali che condividono questa cattiva considerazione della revisione in corso. Oggi si chiude tristemente e senza che ci sia mai stato un confronto autentico, la prima lettura in un’aula ingrigita dal conformismo, ma presto si aprirà un confronto vero, all’aperto. Con i cittadini. E a questo non ci sottrarremo, perché la Costituzione è e deve rimanere di tutti.
Bocceremo questa riforma, ma prepareremo la prossima. Prossima nel senso di vicina alle esigenze della nostra democrazia, alle cittadine e ai cittadini, a una politica che non può vivere solo di uomini soli al comando (e solo al comando).
Ci meritiamo di più e di meglio.
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