Conosco Maurizio Viroli da molto tempo (intendo: da molto tempo prima di conoscerlo davvero) perché studiavo il repubblicanesimo del Quattrocento (prima di Machiavelli, per capirci) e in particolare un signore, Alamanno Rinuccini, che denunciò la deriva del celebre fiorentino Lorenzo, che aveva progressivamente svuotato le istituzioni repubblicane per trasformarle in una signoria dal potere pressoché assoluto. Un vero e proprio riformismo all’incontrario.

Viroli già allora era un riferimento della tradizione repubblicana, una tradizione culturale, politica e filosofica: in una parola, civile. Se ne parlo oggi è perché è uscito per i tipi di Laterza il suo ultimo libro, L’autunno della Repubblica. Un libro che raccoglie gli scritti di Viroli per le principali testate nazionali degli ultimi anni e che però ha qualcosa in più.

Nell’introduzione, Viroli racconta come è nata e come si è forgiata la sua cultura repubblicana, nel lavoro in segheria a quattordici anni e poco dopo come cameriere negli alberghi della Riviera, attraverso il Sessantotto che lo ha «accolto» e ha indirizzato il suo «rancore» verso la politica e non verso una indignata e generica «ribellione», grazie al Rousseau che serviva al tavolo del conte di Govone e all’autore a cui Viroli ha dedicato una vita intera, Machiavelli, che biasimava tutte le forme di quella corruzione che nelle città italiane «si raccozza».

Viroli descrive la traiettoria del repubblicanesimo italiano, con la «vergognosa» migrazione di “La Malfa figlio” verso la destra berlusconiana, la collaborazione al Quirinale con Carlo Azeglio Ciampi che prosegue ancora oggi nell’impegno per l’educazione civica, la religione costituzionale e il liberalismo dei doveri (che rappresentano e sono libertà, proprio come i diritti).

Correvano gli anni del berlusconismo – di cui Viroli decreta una «fine senza rinascita» – che non hanno portato alla rivoluzione del ‘nuovo’ che qualcuno auspicava. Anzi. C’è uno strano regresso, che Viroli documenta con cura, e che appunto ci riporta indietro a qualcosa di sinistro che non ha nulla a che fare con la sinistra.

Perciò Viroli chiede – come conseguenza logica e a suo modo di vedere morale – di mobilitarsi per il No e per una Repubblica che abbiamo il dovere di tutelare, se ne saremo capaci («if you can keep it», con bella citazione di Benjamin Franklin).

Per parafrasare una espressione di Vargas Llosa, bisogna spremersi le meningi e fare uno sforzo di memoria per ricordare il futuro.

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