Con Andrea Pertici abbiamo ricostruito il percorso che ha portato alla formulazione del quesito referendario di cui si parla molto in queste ore.
Tutta la discussione sulla scheda del referendum costituzionale prossimo venturo, in corso da qualche ora, è la solita tempesta in un bicchier d’acqua. Oltre a rappresentare un ulteriore esempio di discussione tardiva, come quasi tutte quelle che vengono fatte.
L’art. 16 della legge n. 352 del 1970 ci dice che «il quesito da sottoporre a referendum consiste nella formula “Approvate il testo della legge di revisione dell’articolo (o degli articoli…) della Costituzione, concernente… (o concernenti…), approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale numero… del …?»; ovvero: «Approvate il testo della legge costituzionale … concernente … approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero… del …».
Poiché l’attuale legge è sì di revisione di numerosi articoli della Costituzione, ma introduce anche disposizioni ulteriori, essa rientra nella seconda ipotesi, per la quale dopo il «concernente» si introduce il titolo della legge approvata dalle Camere.
Così nel 2006 il quesito era: «Approvate il testo della Legge Costituzionale concernente “Modifiche alla Parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005?» e nel 2001 «Approvate il testo della legge costituzionale concernente "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione" approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 12 marzo 2001?».
Ora, la legge costituzionale approvata lo scorso aprile, come noto, è stata proposta dal Governo (che ne ha guidato – con una maggioranza blindata, anzi costretta tra i famosi quattro paletti – tutta la fase di approvazione) con il titolo “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione”.
Il quesito, quindi recherà questo titolo.
Chi si “indigna” ora per un titolo che strizza troppo l’occhio alla demagogia poteva pensarci prima. Alcuni lo avevano fatto e ci permettiamo di ricordare che siamo tra questi. In ogni caso non rimarrà che spiegare che quel titolo è vuoto e fuorviante, come risulta pezzo per pezzo. Infatti:
a) il “superamento del bicameralismo paritario” non significa nulla tante sono le modalità con cui questa può avvenire. Peraltro il superamento del bicameralismo perfetto complica il sistema allontanandosi dall’ipotesi più semplice del monocameralismo;
b) la “riduzione del numero dei parlamentari” è una mezza verità. I “parlamentari” infatti sono “deputati” e “senatori”, come specificato sempre nella Costituzione, e se i secondi sono ridotti a prezzo della sottrazione della loro elezione ai cittadini per affidarla ai consiglieri regionali, i primi – pari al doppio dei secondi – non diminuiscono neppure di un’unità;
c) il “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni” praticamente non c’è secondo conti fatti dalla stessa Ragioneria generale dello Stato, che li quantifica al massimo in una sessantina di milioni;
d) la “soppressione del CNEL” è l’unica voce precisa, ma tutti devono sapere che questa sarebbe generalmente condivisa e che non si può votare una riforma così ampia perché si vuole cambiare un solo articolo;
e) la “revisione del titolo V” è un’espressione vuota che può voler dire tutto e il contrario di tutto. E nel caso di specie si risolve nella ennesima complicazione dei rapporti tra lo Stato e le Regioni, secondo modalità che riaccenderanno il contenzioso di fronte alla Corte costituzionale, ridottosi negli ultimi anni.
In sostanza per cambiare il titolo è tardi, per spiegarlo c’è ancora tempo.
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