La questione, si dirà, è polacca.
Però ci sono almeno due però, oltre a quello scontato: ciò che accade intorno a noi ci riguarda, anche se siamo un paese tra i più provinciali.
Il primo però è che la Polonia è in Europa. E non credo sia possibile non discutere di questioni così gravi se davvero vogliamo costruire – come diciamo sempre – un'opinione pubblica europea.
Il secondo però è ancora più forte: perché la «questione maschile», collegata al sempiterno fanatismo illiberale con cui l'Europa deve continuare a fare i conti, si manifesta costantemente come uno dei fondamentali problemi politici dei nostri tempi. Attraversa il terrorismo, complica l'integrazione, riguarda i nostri sistemi sociali, accompagna la retorica paternalistica che ancora ci contraddistingue (e non mi riferisco soltanto al pessimo Fertility Day): non fa differenze, la negazione della differenza. Non ha pari, la parità ancora mancata. E non solo quando si tratta di enormità come quella in discussione in Polonia, ma nella nostra quotidianità, nella vita normale di tutti i giorni, a cominciare dai tempi di vita, dalle retribuzioni, dalla libertà stessa.
Per questo sarebbe importante ne parlassero tutte e tutti. Soprattutto questi ultimi, che proprio non ce la fanno. E che tutti, appunto, ci mettessimo a studiare, abbandonando luoghi comuni. Comodi. Molto comodi. Per i maschi, però.
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