Se per un attimo riuscite a uscire dallo spin renziano che ha invaso tutti i media a tutte le ore del giorno, fermatevi a riflettere.
Un eventuale Trump che si presentasse alle elezioni politiche si gioverebbe moltissimo della nuova ‘riforma’ e della legge elettorale, concepite entrambe nella fase del Nazareno, «in profonda sintonia» con un Trump ante litteram che risponde al nome di Silvio Berlusconi e di un falco (falchi che spopolavano, prima dell’avvento dei gufi) della destra come Denis Verdini.
Se ci fossero riforma e Italicum un Trump potrebbe vincere le elezioni pur partendo da percentuali molto basse.
Potrebbe affermarsi come «capo» (parola dell’Italicum) in un confronto «presidenziale» al ballottaggio. Potrebbe poi disporre di una Camera di nominati da lui e da preferenziati da lui sostenuti. Potrebbe imporre alle regioni e alle comunità molte scelte, per esempio in campo ambientale e infrastrutturale, con l’«esclusività» di alcune competenze e con la «supremazia». Potrebbe aprire un conflitto con un Presidente della Repubblica che si troverebbe ad avere a che fare con un premier votato direttamente dai cittadini.
Se volete contrappesi e equilibrio, votate No. Se siete spaventati dalla deriva in senso autoritario e demagogico, votate No. Se non vi piacciono gli uomini soli al comando, che si impongono – come ha fatto Trump – anche al di là del proprio partito, che cancellano ogni mediazione, che superano ogni dialettica, votate No.
Se volete regole condivise, le abbiamo già. Quelle nuove non sono condivise con la minoranza parlamentare (quella vera, non un pezzo di Pdl sì e un pezzo di Pdl no).
Se pretendete cautela, ricordatevi come è stata votata questa riforma – tra canguri e sedute fiume – e come è stata approvata la riforma elettorale, con la triplice fiducia (era accaduto solo nel 1953, con la «legge truffa», meno truffaldina, peraltro, di questa).
Se siete spaventati dall’instabilità, sottraetevi alla logica di un premier che ha trasformato un referendum costituzionale in un plebiscito elettorale.
Non sarà certo un sì, infine, a fermare l’arrembaggio di un Trump, nemmeno a voler prendere per buona la retorica propagandistica del governo. Se la maggioranza del Pd vincesse il referendum insieme all’amico Alfano e al falco Denis, ciò non significherebbe affatto che si ferma la corsa delle forze definite populiste.
Soprattutto se, come sta accadendo già, la vera campagna da definire populista la sta facendo il premier catodico: anticasta, antisistema, a bandiere Ue alternate, pronto alla spesa elettorale per recuperare consensi nelle zone del Paese dove i cittadini votano No. Un premier che ha dimenticato l’equilibrio che dovrebbe sempre conservare chi governa il Paese, soprattutto di fronte alla Costituzione. A capo di un governo e di una maggioranza che parlano soprattutto dei nemici e dei pericoli e molto poco della bontà della riforma su cui si devono confrontare non i partiti, come ognun sa, ma gli elettori.
Pensateci. Se non volete un populista. Pensateci.
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