Siamo giunti alla scoperta (sai che scoperta) che esiste una sorta di immunità politica di cui godono tutti gli antisistema a cui non spetta l’onere della prova perché tutto l’onere tocca a chi ha avuto l’onore del governo.
Anche perché l’onore del governo è toccato a tutti gli altri e, piccolo particolare, a tutti gli altri insieme, perché le larghe intese, che hanno dato una spinta formidabile al M5s nel 2013, lo hanno conservato e fatto crescere negli anni successivi, quando le larghe intese che gli elettori non avevano certo premiato sono state rinnovate, in un vero crescendo: da scelta tecnica e d’emergenza nel 2012, a unità nazionale per le riforme nel 2013, a progetto politico di legislatura con l’uomo nuovo all’inizio del 2014.
Ciò ha portato a uno schema «sistema contro antisistema» che favorisce questi ultimi, proprio perché riduce fino a polverizzarla la dialettica politica, cancella le categorie storiche e conduce inevitabilmente a uno specchio: quello tra due partiti della nazione, per adottare la formulazione reichliniana di cui si è abusato in questi ultimi anni, due partiti olistici (e solistici, potremmo dire, perché vogliono fare da soli) che si dichiarano trasversali, post-ideologici. Entrambi, guarda caso, infastiditi dal passato (da cui prendono entrambi le distanze), perché anche la memoria può essere un problema.
Bersani osserva giustamente che la Santa Alleanza (l’union sacrée, la chiama lui) contro i ‘populisti’ rafforza questi ultimi: ed è ovvio che sia così perché, altro piccolo particolare, l’Alleanza è tutt’altro che Santa, è un’Alleanza di peccatori, di millantatori, di Depretis minori, di capatáz locali, di gaffeur, di sconfitti del 4 dicembre (perché le larghe intese delle riforme hanno perso proprio sulle riforme e si sono rilevate non sufficientemente larghe).
Da qualche mese assistiamo a un altro errore di impostazione: l’ossessiva ricerca dei difetti dell’opposizione populista da parte dei media che più hanno sostenuto il governo. Media percepiti come “di parte”, da cui ci si attende un’impostazione di questo tipo, che rafforza la convinzione degli oppositori di essere nel giusto, esaltandone i tratti settari e complottistici. Se uno è complottista, lo sarà ancora di più se il complotto lo riguarda direttamente.
Oltre all’aspetto della faziosità (che quando non c’è, è comunque percepita) si segnala che l’individuazione della pagliuzza non può certo oscurare la trave di chi è stato al governo ed è al governo. E, attenzione, non c’è nessun altro partito che non lo sia stato, tranne il Movimento 5 stelle. La demolizione dell’opposizione è lavoro difficile se non impossibile.
Se qualcuno ha copiato e falsificato una firma, saranno comunque sempre meno di quelle che altri hanno copiato e falsificato. Se qualcuno è indagato, è comunque sempre meno indagato di quanto non lo siano gli altri. Se qualcuno è incompetente, sarà comunque sempre meno incompetente di chi non ha saputo fare le cose, perché quest’ultima incompetenza è dimostrata.
Ma c’è una ragione in più, che rende l’impresa impossibile. Perché quando si spiega che anche le opposizioni arrembanti non sono per nulla impeccabili, che hanno gli stessi difetti degli altri, che sono insomma tutti uguali, si fa involontariamente il gioco dei ‘populisti’ che si intendono criticare, che proprio dal «sono tutti uguali» sono partiti. Perché le persone rifiutano e in alcuni casi disprezzano la politica e aumentare il tasso di rifiuto e estendere il sentimento di disprezzo premia comunque chi, tra i soggetti politici elettorali, più disprezza la politica. Quindi, gli stessi esponenti del cosiddetto ‘populismo’ antisistema. Se il sistema fa schifo tanto da corrompere anche chi non ne fa parte, allora votiamo gli antisistema a maggior ragione.
Peraltro il tono scandalistico che viene adottato nei loro confronti è in tutto identico al tono scandalistico che li ha portati a crescere nel consenso e a sfiorare il successo già anni fa, non soltanto ora e in prospettiva. Adottarlo e mutuarlo nel tentativo di rovesciarlo contro di loro crea un’altra formula «a specchio», per la precisione allo «specchio riflesso» che ormai riempie ogni agenzia e ogni spazio social. Come si diceva da bambini, «chi lo dice sa di esserlo».
È un circolo perfetto, quello del rifiuto. Il partito del rifiuto, prossimo al non-voto e spesso sovrapposto dal punto di vista dei contenuti e delle parole d’ordine, diventa il partito più diffuso. E proprio perché è il partito di coloro che rifiutano si nutre di disaffezione e di cattiva rappresentazione delle cose della politica e delle persone che se ne occupano. È l’atmosfera sottoculturale e prepolitica che ne costituisce l’habitat migliore. E che si nutre di tutti gli schemi tipici e dei difetti peggiori della politica italiana, a cominciare dall’antiparlamentarismo che tutti i leader più incensati degli ultimi anni hanno fatto proprio, senza necessariamente risalire a esempi del Ventennio. Se il Parlamento è improduttivo e casuale, allora anche interromperne i lavori è volgare ma meritorio.
C’è un ultimo paradosso, in cui la questione del rifiuto trionfa, esaltandosi: come spiega Aaron James nella sua disamina dello «stronzismo» di Trump, se pensi che i politici siano stronzi, allora ti scegli quello più grande. Se il terreno è quello della delegittimazione, forse puoi scegliere il più delegittimato. Se il campionato è quello dell’incoerenza, l’incoerente più sinceramente incoerente può farcela. Se la gara è quella della spacconeria, rischi di premiare il più spaccone. Se fondamentali sono i toni e i volumi e non certo la qualità (troppo sofisticata, la qualità!), allora ti affiderai a chi fa la voce più grossa. Non solo più alta, no: proprio grossa. A chi la dice. E la fa.
Del resto, non è proverbiale dire «al peggio non c’è limite»? E allora superiamolo, il limite. È curioso che mentre i commentatori più autorevoli invitino a votare il «meno peggio», le persone a quel punto raccolgano l’invito per scegliere il «più peggio».
Per evitare che quello che pensiamo sia «peggio» vinca, bisogna cambiare prospettiva: bisogna fare le cose «meglio», bisogna intervenire sulle cause del rifiuto che spesso nasce dalle disuguaglianze e dai conflitti che portano con sé, bisogna smetterla con il trasformismo e con lo schema della Alleanza di cui sopra, bisogna evitare parole eccessive (non lo saranno mai abbastanza), bisogna fare in modo che le persone ritrovino il senso delle proporzioni, bisogna evitare di fare propri i toni scandalistici altrui, bisogna uscire dalle ossessioni e fare proposte migliori e più convincenti, bisogna dimostrarsi al di sopra di ogni sospetto (perché il rifiuto vive di sospetti e di proiezioni) e più capaci degli altri, bisogna partire dalle cose più semplici e risolverle, per poi passare a compiti più impegnativi.
Tutto il resto fa il gioco altrui.
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