Luca Sofri ha scritto recentemente un post molto preciso, che ne riprendeva un altro se possibile ancora più preciso.

Il tema è quello del cosiddetto «voto utile» che pare essere diventato l’unico tipo di voto legittimo. In una logica da ballottaggio, anche se il ballottaggio non c’è più (incostituzionale, pure quello). Ciò ovviamente ha immediate conseguenze sulla forma e sulla qualità del dibattito pubblico.

Così Marco Damilano ha parlato di neuroni specchio (a volte con una parola di troppo: neuroni) ieri su l’Espresso, di una contrapposizione che assorbe tutto e tutto risolve in se stessa. Come se non ci fosse altro.

Lo specchio riflesso prosegue, insomma, come descritto da Franz Foti.

Adesso siamo alla proiezione su Macron, con il «rosicamento» (letterale) per il ballottaggio, senza considerare che in Francia hanno il semipresidenzialismo, che si terranno le elezioni legislative tra qualche settimana (con i collegi uninominali e il doppio turno sì, ma di collegio), che il sistema elettorale è profondamente diverso dall’Italicum e da ciò che rimane, che l’Italicum è stato bocciato dalla Corte costituzionale – a prescindere dall’esito referendario – proprio perché a essere rigettata è stata l’analogia con i Comuni e con i sindaci (si veda Pertici, qui http://www.possibile.com/le-elezioni-francesi-la-maggioranza-occorre-attendere-niente-vedere-litalicum/).

Come ha sintetizzato Spinoza: «Renzi: “Invidio il sistema elettorale francese”. Quello in cui alla fine sei costretto a votare per lui».

L’importante è quindi continuare così, come un disco rotto, per ricordare che se non vince Renzi allora vince Grillo, a prescindere dal sistema elettorale. E viceversa: si vota Grillo per mandare a casa Renzi.

A qualsiasi domanda si risponde con una domanda: «E quegli altri, invece?», come se ci fossero solo due possibilità, due alternative. Organizzate in tifoserie, che passano gran parte del loro tempo a dileggiare i nemici.

Ci sono due pericoli: il primo, ovvio e però rimosso, è che mentre ci si specchia nell’avversario, di cui si ha bisogno anzi si ha letteralmente necessità, può anche capitare che si imponga un terzo e magari vinca. A oggi, la destra, a cui entrambi peraltro sembrano guardare (tra Ong del mare, gli uni, e la Dottrina Minniti e le aperture insieme ridicole e inquietanti sulla legittima difesa, gli altri). Tertium datur, insomma. E nel voto francese qualcuno avrebbe dovuto notare anche un altro piccolo particolare: che ci sono quattro schieramenti al 20 per cento, poco sopra o poco sotto. Non solo tertium, ma pure quartum, quindi.

Il secondo è che continuando a polarizzare, offrendo agli elettori due partiti della nazione speculari, si faccia appunto il favore agli altri, desertificando tutto ciò che c’è oltre a loro. Chiedendo a chi non è d’accordo con i due «neuroni» di tapparsi anche la bocca, perché esprimere dissenso è nocivo allo schema, non ci sta, rende tutto troppo complesso, quando deve essere tutto più semplice, più «utile». O così o renzì, per dirla alla francese, echeggiando al contempo una pubblicità di qualche anno fa.

Poco importa se, come ha sintetizzato Alessandro Robecchi, capita che «le politiche dei Macron producono le Le Pen, poi bisogna votare Macron per fermare la Le Pen. È un meccanismo perfetto, tipo tagliola». Poco importa che il meno peggio scivoli verso il peggio, e che al meno peggio non ci sia limite, perché è un concetto talmente relativo al peggio (nel senso che rispetto ad esso si definisce) che non entusiasma nessuno.

Per non turarsi il naso, per evitare che per respirare si debba annegare, ci vuole qualcosa che metta in discussione lo schema stesso. Che si sottragga a questo gioco abbastanza insensato, a meno che in Italia non si introduca un sistema all’americana o alla francese, per l’elezione del Presidente (rimarrebbe comunque il Parlamento, che questa logica devasta, come è facile capire).

Mi piacerebbe che qualcuno iniziasse ad apprezzare un concetto rivoluzionario: votate chi vi convince, chi vi rappresenta, chi vi assicura che arrivato in Parlamento non farà pasticci né aventini, né streaming né strepiti. Che non sia arrogante, né superficiale. Che tenga fede agli impegni e che si confronterà nella trasparenza, senza crostate e accordicchi, senza trucchi né giochi di potere. In un Parlamento in cui si parli, per definizione, perché dell’Insultamento non abbiamo alcun bisogno. Che tenga il conflitto su basi razionali, non solo di pancia, con la pancia, dentro la pancia, perché alla fine diventa tutto indigeribile. Che si preoccupi di dire delle cose giuste, preoccupato degli effetti che comporteranno per il Paese e non dell’effetto propagandistico che questa o quella sparata (termine ahinoi tecnico perché ci sono politici che si fanno i selfie imbracciando un fucile) provocano.

Una scelta positiva, ci vuole. Una scelta convinta, per ricostruire la fiducia nelle istituzioni. Una «preferenza» nel senso di ciò che appunto si preferisce, non solo e non tanto perché gli altri sono brutti, ma perché c’è qualcosa di bello e convincente da votare. Fatto bene, gestito con cura, fondato su competenza e democrazia, progetti e parole proporzionate.

Come diceva qualcuno, per rimanere alla metafora del titolo, un po’ di possibile, altrimenti soffoco.

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