Abbiamo proposto il Manifesto come strumento per aggregare intorno a un progetto culturale e politico le disperse virtù della sinistra e delle forze laiche e repubblicane.
Abbiamo avanzato la ricetta di Fano, che è un po’ come la moretta, una miscela di partecipazione e auto-organizzazione delle forze nazionali e locali per iniziare a strutturare il percorso, pensando alla campagna balneare a cui l’ex-premier vuole costringere il Paese.
Lo facciamo (anzi, lo stiamo già facendo) come Possibile perché non abbiamo alcun problema di ceto e di posti, avendo rinunciato alle parecchie “comodità” della maggioranza e del partito del dentro-tutti per provare una nuova avventura. Ma lo facciamo – come ripetiamo da due anni, e ci fa piacere che altri lemme lemme se ne siano convinti – per tutti coloro che possono essere interessati.
Lo stiamo già facendo già in tutta Italia – ieri a Taranto, per citare forse la città in cui il voto è più importante, per le mille ragioni che conoscete – con spirito unitario: la nostra candidata, molto stimata, Anna Rita Lemma, si è messa a disposizione e accompagnerà la candidatura di Vincenzo Fornaro, senza aggiungere un’altra candidatura alle millemila già esistenti e senza far mancare l’impegno e la partecipazione che servono.
Lo stiamo già facendo nello scrivere le linee generali del Manifesto da proporre a tutti gli altri, invitando tutti a muoversi – con la stessa libertà e autonomia e apertura a livello locale – perché crediamo che solo una lista da Boccia al Che Guevara abbia senso in una situazione come la nostra.
Chiediamo però di insistere e di accelerare perché è venuto il momento: altrimenti finisce come la festa di Calatafimi, che a volte non si fa, perché non si trovano le risorse sufficienti.
Possibile in tutto questo è, nel mio ragionamento, solo una parte per il tutto, promuove aggregazione, chiede mobilitazione, apre le porte chiuse e asfittiche di un dibattito confinato al ceto politico.
E pone questioni planetarie, le disuguaglianze, il diluvio, le migrazioni, le multinazionali elusive, la pace, i diritti tutt’altro che minoritarie, per ridare significato alla parola sinistra e alla parola politica.
Il nostro non è benaltrismo, ma tuttaltrismo.
Con la Costituzione in una tasca, il Manifesto nell’altra e qualche libro in testa, perché solo la cultura (e quindi la scuola e la ricerca) ci parlano del futuro e di come affrontarlo.
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