La vita del troll è una vita complessa. È un lavoro duro. Bisogna monitorare decine di profili, conoscere biografie di politici qualsiasi, archiviare decine di migliaia di dichiarazioni, agenzie, battute.
Si deve essere pronti al commento salace, al link che non ti aspetti da recuperare chissà dove, alla sciabolata sarcastica, all’insulto a ripetizione, anche, quando le cose si mettono male e gli argomenti – come capita spesso – scarseggiano.
Ci vuole professionalità: non si sa se retribuita. Non si sa se pseudonima: magari il troll è parlamentare, o dirigente, o pensionato con la rendita.
Di sicuro ha tanto tempo, tantissimo: come gli anziani al cantiere, solo che nel cantiere, i troll, tirano le pietre.
Il troll è come un Chiellini della polemica, deve difendere l’indifendibile, anche quando la porta è vuota e ne hai già prese quattro. Incurante dei cartellini rossi, picchia come un fabbro. Anche quando lo stadio si è svuotato, lui continua a tirare calci.
Non ha orari, il troll. Né confini. Deve avere una preparazione enciclopedica, tipo il «tennico da bar» di Stefano Benni. Intervenire con competenza su qualsiasi tema, fingendosi esperto da sempre: «Quale che sia l’argomento trattato», il troll-tennico «lo conosce almeno dieci volte meglio dell’occasionale interlocutore». Il sospetto è che, dietro i troll più professionali, si nasconda una vera équipe, un pensatoio. Un think troll.
L’attività del troll è premio a se stessa: nessuno sa chi si nasconde sotto il nickname, la gloria è fatta di retweet anonimi, di passaparola che prescindono dalla persona. Di colpi da segnalare al capo, che sicuramente conosce i troll. Segretamente, però, come in una loggia del dileggio.
C’è chi ha la foto di Che Guevara e difende Alfano, perché il troll deve spaesare. C’è chi trolla troppo e chi troppo trolla diventa ridicolo, ma non importa, il troll non conosce pudore, non se lo può permettere.
Hanno quasi sempre nomignoli simpatici, come quelli che ci si dava da ragazzi, in compagnia o sul muretto.
C’è anche chi dismette i panni, perché alla fine anche i troll hanno un’anima e ogni tanto, tra un insulto e l’altro, spunta una qualche residuale tenerezza.
Il troll è illogico: non conosce contraddizioni, non risponde a nulla o a nessuno, non deve rendere conto proprio nel momento in cui chiede conto di qualsiasi cosa.
È il commentatore assoluto: non esiste.
Vero antidoto alla solitudine dell’uomo politico, lo segue sempre. Anche di notte, anche quando si sta bevendo una birra con gli amici, il troll c’è sempre, lo piantona, come in quei vecchi polizieschi. Chissà se i troll sono in coppia, e si fanno compagnia, e ogni tanto uno dei due va al bar a prendere due caffè, e li porta all’amico, cercando di non rovesciarli mentre digita cose feroci.
Come i paparazzi, il tempo del troll può dilatarsi e però poi curvarsi o precipitare. Chissà come fa il troll, negli anniversari, quando il partner gli chiede un po’ di attenzione.
Tra il troll e il suo obiettivo, nasce un’inimicizia stellare (il troll conosce superficialmente Nietzsche). Si dice «don’t feed the troll», ma è una regola astratta, ingenerosa, inumana. Perché in verità il troll si ciba da solo.
Il troll diventa il suo obiettivo e per questa ragione, alla fine, il suo destino, come in una metamorfosi, è trollarsi da solo. Del resto, è tutta la vita che trolla infinita senza un perché.
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