L’intervento del vostro affezionatissimo alla Camera dei deputati:

Noi voteremo sì.

Ci pare che questa discussione, che si è dimostrata analitica più di qualsiasi altra, abbia avuto troppa enfasi. Da una parte e dall’altra.

La poesia-sermone di Martin Niemöller «Prima vennero…», citata da un collega, la lascerei ad altre discussioni, ad altre categorie, storie e situazioni. Al razzismo e alla discriminazione, che vedo tornare popolari nel nostro paese afflitto da una crisi di senso oltre che economica e sociale.

«La fine» o addirittura «la morte della democrazia rappresentativa» mi pare riguardare altro, francamente.

Il nostro ruolo e quello delle istituzioni repubblicane è in crisi per ragioni più grandi. Il nostro senso svuotato da poteri più forti di noi. Da organismi né politici né rappresentativi – piuttosto economici e finanziari, luoghi della decisione che non stanno né qui né a Palazzo Chigi.

Anche il dibattito convulso sulla costituzionalità della legge mi pare si chiuda, alla luce della giurisprudenza, a favore del nostro voto e della legge in discussione.

Nella speranza che la legge sia approvata anche al Senato, perché temo che si fermi al Pantheon, proviamo a risolvere il dibattito sulla «casta», parola che è diventata popolare più di ogni altra: parliamo di «real issues» come le chiama Bernie Sanders, di questioni reali, di cose che riguardano la vita delle persone.

Per questa ragione è un errore non avere affrontato anche la questione degli emolumenti e delle retribuzioni, per una loro revisione che distingua ciò che va a reddito e ciò che va rendicontato, come spesa per la propria attività. Sarebbe stato importante ed è importante definire anche questo aspetto, come chiedevamo con la nostra proposta di legge.

Non è però un fatto elettorale, ma una questione di uguaglianza, per noi.

Andiamo avanti, allora. Se vogliamo salvaguardare – come è stato detto – la dignità della politica, occupiamoci del potere e della sua gestione.

Della normativa sul conflitto di interessi, che non è certo quello di uno solo, come è sembrato in questi anni, ma è diffuso e pervasivo a ogni livello.

Occupiamoci della trasparenza nei finanziamenti, nelle procedure democratiche, nei rapporti tra società politica e società economica.

Occupiamoci infine e anzi per prima cosa delle condizioni materiale della vita delle persone, delle loro retribuzioni, perché nessuno sia sfruttato, perché esistano condizioni di reddito dignitose per tutti, perché le pensioni tengano conto della fatica della vita vissuta lavorando, perché il tempo e la dote non fuggano quinci e quindi la misura, come diceva il poeta parlando di un’epoca sobria e pudica.

Facciamolo con la comprensione per chi ha poco o nulla, per chi ha rischiato e perso, per chi investe e spera di poterlo fare in un sistema di regole condiviso.

È appunto il senso della misura e della proporzione quello che ci deve guidare: non per prendere un voto in più, ma perché è giusto porsi il problema. Farlo con sincerità, senza ipocrisie, senza confondere gli argomenti, senza stare sulla difensiva.

A nostro modo di vedere, è possibile.

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