I fattorini di Amazon, le hostess di Ryanair, i riders di Foodora: dietro ai nostri vantaggi ci sono lavoratori senza diritti. Ma siamo anche noi consumatori che possiamo “imporre” contratti accettabili.
Lo scrive oggi Repubblica, con Brunella Giovara e Marco Ruffolo: sarebbe il caso di chiedersi sempre quanto spetta ai lavoratori per servizi a cui accediamo. Un esercizio per mettere in guardia tutti quanti da una categoria che torna prepotentemente: lo sfruttamento del lavoro. Che forse pensiamo non ci riguardi – a tutti interessa il risparmio e l’accesso immediato ai servizi – mentre ci riguarda eccome, perché il crollo delle retribuzioni e delle garanzie ha un impatto notevole sul nostro sistema economico e sulle retribuzioni e le garanzie di tutti.
Se n’è occupato Riccardo Staglianò che, dopo il lavoro dedicato alla robotica (Al posto tuo, Einaudi) e al suo impatto sui lavoratori, sta per uscire con un libro in cui mette discute dei cosiddetti «lavoretti» a cominciare dal loro nome che già ci porta fuori strada.
Ci vorrebbe una bolletta trasparente anche per le consegne a domicilio, per conoscere quanto percepisce chi ci consegna il prodotto che abbiamo richiesto. Ci vorrebbe una collaborazione di tutti, anche del sistema delle imprese, per isolare i casi di sfruttamento, per una (auto)regolamentazione che escluda il ricorso alle forme moderne di schiavitù, per cui se ordini un panino da JustEat tu mangi, il ragazzo (ma anche l’uomo di mezza età) che te lo consegna non ci riesce, se non riesce a mettere insieme il numero di consegne necessario.
Ci vuole però soprattutto un ritorno a una dimensione degna del lavoro: un salario minimo legale per tutte e tutti a prescindere dal lavoro che svolgono, che consenta di sostenere la contrattazione nazionale e di spingere le retribuzioni verso l’alto. Ci vuole un maggior rigore e una riduzione delle forme contrattuali, che hanno polverizzato i diritti e anche le vite dei lavoratori. Ormai è tutto a chiamata, on demand, ma la vita delle persone ha bisogno di continuità: se devi dare da mangiare ai tuoi figli, non puoi lavorare a cottimo. Se lavori tutta la settimana, non puoi essere al di sotto della soglia di povertà.
Ogni cosa ha un costo: il primo riguarda la giusta paga del lavoratore. Torniamo ai fondamentali: purtroppo non possiamo ordinarli con una app, dobbiamo organizzarci per riconquistarli. Perché sono volati via, a poco prezzo come con un volo low cost, in ragione della retorica irresponsabile degli ultimi anni.
Questo sarebbe stato il vero Jobs Act da approvare, magari evitando l’infido anglicismo, per parlare chiaro e rispettare il programma elettorale che nel 2013 parlava esplicitamente di contrasto alla precarietà: contro «le nuove forme di sfruttamento del lavoro», contro «la compressione dei salari e dei diritti», «rovesciando le scelte della destra dell’ultimo decennio» (citazione letterale). Invece è stato fatto qualcosa di molto diverso e in alcuni casi letteralmente il contrario, in totale continuità con ciò che c’era prima. Altro che rovesciamento.
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