A parte due vistosi sbandamenti nel voto segreto sulla cosiddetta autocoltivazione, dove la maggioranza si è ridotta a pochissimi voti di margine (intorno ai 200 in entrambe le votazioni, con la minoranza a circa 190), la compagine di centro-centrodestra che sostiene il governo Gentiloni ha votato contro la legalizzazione della cannabis, per attestarsi sul testo molto timido uscito dalle commissioni, che si occupa solo di un migliore accesso alla cannabis terapeutica, per il quale sarebbe stata sufficiente un’iniziativa del governo (a lungo attesa dai pazienti, peraltro).
Roberto Giachetti, primo firmatario della legge non a caso detta «Giachetti», sottoscritta da centinaia di deputati e di senatori, anche di maggioranza, si è associato al voto contrario del proprio gruppo, spiegando la propria decisione con un intervento in aula: ha detto che l’assemblea del gruppo ha stabilito di votare contro quegli emendamenti, senza lasciare nemmeno libertà di voto. E anche i colleghi più esposti sull’argomento si sono scrupolosamente attenuti alla posizione contraria del Pd e della maggioranza.
Scriveva quasi un anno e mezzo fa Paolo Mieli, in prima pagina, sul Corriere:
Un mese fa l’esponente democratico Roberto Giachetti è stato sconfitto alle elezioni per la conquista del Campidoglio. Adesso potrebbe essere risarcito con la titolarità di qualcosa probabilmente più importante, comunque destinata a restare nella storia del nostro Paese. Oggi infatti la Camera inizia la discussione sul disegno di legge per la legalizzazione della cannabis promosso dal sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova (oltreché da Giachetti, entrambi «nati» nel Partito radicale), firmato da 221 deputati e 73 senatori appartenenti a tutti gli schieramenti politici (anche se il voto non ci sarà prima di settembre).
Persi tre anni di dibattiti, tavole rotonde, appelli liberalissimi e radicali, in cui si sono spesi molti parlamentari, paladini della legalizzazione. Dell’intergruppo, nessuna notizia. Evaporato, come chi lo ha promosso, che non è parso troppo interessato al voto finale dell’aula. Forse perché se lo aspettava, facendo parte del governo.
Hanno vinto invece ipocrisia e pregiudizio, impastati dal conformismo tipico di questa maggioranza, soprattutto a fine legislatura. Avevano ragione i pessimisti e chi dava per scontato che la maggioranza non si sarebbe liberata e avrebbe resistito a una norma di civiltà. Del resto i due ultimi presidenti del Consiglio non hanno dedicato all’argomento che qualche alzata di spalle. E Renzi disse che l’argomento non era all’ordine del giorno, l’unica volta che intese rispondere a una domanda sulla questione.
Nel libro dello scorso anno mi associavo alle cautele di altri, ma mi sarei atteso almeno un sussulto su un argomento molto sentito dalla popolazione: la legalizzazione della cannabis, consumata da cinque milioni di persone che consumano cannabis, una legalizzazione che danneggerebbe le mafie, che darebbe 100.000 posti di lavoro legali, che porterebbe almeno tre miliardi (ma qualcuno stima cinque) nelle casse dello Stato tra risparmi e nuove entrate, per la sanità e per la prevenzione.
Niente di tutto questo: una norma minima sulla cannabis ad uso medico, senza la possibilità di coltivare piante nemmeno a fini terapeutici, come chiedeva la campagna dei pazienti, «La piantiamo» (appunto). Non l’abbiamo piantata, invece, e sono stati bocciati tutti gli emendamenti della sinistra (Possibile, Si, Mdp, uniti) e del M5s.
Noi abbiamo votato a favore del testo che avevamo sottoscritto. Siamo fatti così.
E insistiamo.
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