Nel giorno della memoria, ho letto un libro che lo celebra nel migliore dei modi possibili: si tratta di Delphine Minoui, Gli angeli dei libri di Daraya, La Nave di Teseo.
È l’epopea di Ahmad e di altri suoi compagni, in un sobborgo che dista da Damasco quanto Monza da Milano, dove si svolsero le prime manifestazioni di protesta contro il regime di Assad e dove alcuni volontari hanno ricostruito una biblioteca a disposizione della popolazione, sotto i bombardamenti. Una biblioteca civica, insomma, costituita dai libri recuperati dalle case di Daraya. Libri di libertà, di speranza, di vita. Libri recuperati sotto le bombe, nella notte, e messi al riparo in un vero e proprio rifugio. «Bashar aveva deciso di seppellirli vivi. Di tumulare la città, i suoi ultimi abitanti. Le sue case. I suoi alberi. La sua uva. I suoi libri», scrive Minoui. Sotto a quelle rovine, sarebbe nata la biblioteca, segreta, di Daraya.
Una storia di resistenza, di guerra e di pace, di parole che riprendono il proprio spazio, mentre tutto intorno crepitano le bombe. Di emozioni che interrompono la devastazione. O che cercano di offrire una via di fuga agli abitanti intrappolati.
Per dirla con le parole dell’autrice:
Il suo racconto mi fa venire in mente un’altra storia, […] la storia della Bebelplatz di Berlino. Era il 10 maggio 1933. In quella piazza, il governo di Hitelr fece bruciare in una sola notte migliaia di libri sequestrati ai dissidente dai soldati nazisti. Tra le vittime di carta figuravano Stephan Zweig, Karl Max, Bertolt Brecht, Sigmund Freud. Quella notte, Goebbels, il ministro della propaganda fece un discorso sulla creazione di un nuovo mondo. Un mondo nel quale i libri ostili al regime non hanno più diritto di esistere.
Molti anni dopo, nel 1995, lo scultore israeliano Micha Ullman, i cui genitori erano scappati dalla capitale tedesca, è tornato in quella piazza. E ha realizzato, scavando sotto il selciato, una biblioteca fantasma in memoria di quel rogo. Annidato sotto una lastra di vetro, sprofondato nella terra, quello spazio è volutamente vuoto. Impossibile scendervi o accedervi in alcun modo. Bisogna sporgersi per guardare quei cinquanta metri quadri sotterranei in cui sono collocati gli scaffali bianchi e vuoti. Oggi quell’installazione è nota come Versunkene Bibliothek: la Biblioteca sommersa.
Daraya, come Berlino, avrà un giorno la sua base Bebelplatz? Domani, dopodomani, tra mezzo secolo, che ricordo resterà di quella grotta di carta? La città ribelle, celebre un tempo per la sua uva saporita, sarà davvero, come si mormora, trasformata in base militare dopo aver raso al suolo quel che resta delle sue “tante case“? In quattro anni di assedio, Bashar al-Assad si è accanito a sfigurare la città. A bruciare i suoi campi. A rendere illeggibile il suo paesaggio. A privare le frasi delle loro ultime sillabe. Ma qualunque cosa succeda, mi dico, quei giovani eroi siriani hanno da condividere una storia immortale. Di fronte alle devastazioni inflitte dalle bombe non hanno semplicemente salvato libri. Hanno costruito parole. Eretto sintassi. Notte e giorno, hanno continuato instancabilmente a credere nella virtù della parola. Hanno rotto silenzio, rilanciato il racconto. Costruito una lingua di pace. […] Un memoriale di parole senza fissa dimora, per le generazioni future.
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