È la politica che non è più da nessuna parte o, nelle rare occasioni in cui si manifesta, dalla parte sbagliata.

È fuori dal tempo e dallo spazio, la politica. Da luogo dell’utopia, alla negazione dell’utopia e poi a utopia essa stessa.

Una classe dirigente di vassalli di interessi economici, grandi o piccoli, e subalterni a schemi di potere che si impongono senza incontrare resistenza.

È strumentale, la politica, nel senso deteriore. Perché non si colloca dove dovrebbe stare.

Non solo le sue forme, i suoi modi, i suoi metodi, i suoi strumenti, vanno riformati. Non solo i suoi luoghi sono cambiati, e non troviamo dove farla: è il posto dove deve stare la politica che va ripensato.

Non è un caso che si affermino coloro che dicono che la politica che fa schifo, come Berlusconi dice da vent’anni, raggiunto poi da molti altri: una politica che al massimo «serve», perché è serva di altri interessi e altri soggetti.

Per questo, dobbiamo ritrovarle un posto. Che sta più in alto e insieme più vicino alla vita delle persone.

«Una delle ragioni della debolezza dell’attuale socialdemocrazia […] è che il suo maggior punto di forza, la democrazia nazionale, oggi è incapace di accedere al livello non democratico e globale sul quale viene regolata (o deregolata) l’economia», scrive Colin Crouch (La sinistra che verrà, a cura di Giuliano Battiston e Giulio Marcon, Minimum Fax, che trovate qui). Gli fa eco, nello stesso volume, Ágnes Heller: «Credo che qui valga il suggerimento di Voltaire, nel Candido: coltiva con cura il tuo giardino». Il piano internazionale – multinazionale, verrebbe da dire – che alla politica manca e il compito affidato a ciascuno di noi, per cambiare la propria porzione di mondo.

La politica non può che essere un progetto collettivo. Non si cambia il mondo da soli. Né per via individuale, individualistica, né con i blitz, né con gli slogan o le trovate estemporanee di chi vuole solo battere un colpo. Lo si cambia se c’è un progetto, un progetto comune.

Lo faranno i «molti» se sapranno organizzarsi. E se sapranno mobilitarsi, in forme nuove e al passo con i tempi.

Verso il 4 marzo e oltre. Molto più lontano.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti