Oggi, dopo alcune prove generali, debutta A casa loro, il monologo di Giulio Cavalli scritto con Nello Scavo.

L’atto unico (senza appello, potremmo dire) è forse la cosa migliore che sia stata pensata e messa in scena sul luogo comune più scontato della politica nazionale (e non solo nazionale, ahinoi): una vera lezione sul modo di rendere «plastica» l’esperienza delle migrazioni e dei suoi protagonisti.

Del resto sono anni che lo sentiamo dire, «Aiutiamoli a casa loro», a cui qualcuno (totalmente svaporato) ha voluto aggiungere: «davvero». Uno slogan che non spiega niente ma liquida tutto, come lo speculare «padroni a casa nostra», con l’immancabile corollario del «prenditeli a casa tua».

Cavalli e Scavo spiegano perché «a casa loro» dovrebbero fare un giro tutti quelli che si concedono battute sprezzanti tanto quanto insensate. Ed è un modo, non corrivo e tutt’altro che banale, per rispodere: «a casa loro andateci voi», se ne avete coraggio. Andateci voi, sotto le bombe che siamo noi a produrre e a vendere loro. Andateci voi, in condizioni di sfruttamento del lavoro e di totale mancanza di diritti. Andateci voi, sulle tracce delle nostre colonie. Andateci voi, nelle miniere dei nostri telefonini, dei nostri gioielli e delle nostre centrali. Andateci voi, a provare la fame che cos’è. Andateci voi, a allevare capri espiatori, visto che è il lavoro che sapete fare meglio.

Andateci, poi ne riparliamo.

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