E poi arriva un momento, succede una cosa che è talmente vera da spazzare via tutte le cazzate.
Quando capita un momento del genere bisognerebbe tacere, pensare, piangere e provare a capire. E invece dalle macerie del Ponte Morandi si è alzato un brusio inutile e penoso. La classe dirigente italiana ha dato, in queste ore così dolorose, il peggio di sé. La macchina della propaganda è partita immediatamente, tutti alla ricerca dei colpevoli e tutti alla ricerca di un alibi. La colpa è di Autostrade, dell’Europa che non ci fa spendere i nostri soldi, dei migranti che ci costano troppo, di chi non ha voluto fare la Gronda. «La colpa è di chi vi pare tranne che mia», questo in buona sostanza stanno dicendo un po’ tutti. Prosegue una scandalosa campagna elettorale in cui nessuno o quasi si era sognato di parlare dei necessari e improcrastinabili interventi sulle opere pubbliche, ma ora ne sono tutti esperti e informati, in un’edizione stravolta e inquietante del tennico da bar di Stefano Benni.
Quando capita un momento così, sarebbe invece il caso di fare una cosa che non va più tanto di moda: rivolgersi, con umiltà, a chi ha studiato. L’Istituto di tecnologia delle costruzioni del Cnr, per esempio, dice una cosa tanto semplice quanto inaudita: «In Italia, decine di migliaia di ponti hanno superato la durata di vita per la quale sono stati costruiti». Anche questa dichiarazione meriterebbe più di un minuto di silenzio.
Tra le troppe cose, sta girando sul web una copertina della Domenica del Corriere del 1 marzo 1964. Un disegno di come sarebbe stato il Ponte Morandi e gli svincoli stradali che lo circondano. «Genova risolve il problema del traffico», dice la didascalia di quel quadretto che altro non è se non un piccolo viaggio nel futuro, in un futuro fatto di costruzioni avveniristiche e senza traffico. Un futuro migliore non solo per Genova, ma per tutto il Paese. E allora, guardando in silenzio quella copertina, forse bisognerebbe chiedersi quando abbiamo smesso. Quando abbiamo smesso di pensare, ipotizzare, costruire un futuro migliore per tutti? Quanto tempo è che viviamo questo eterno presente nel quale ognuno pensa soltanto ai propri destini personali?
Le foto delle macerie del ponte Morandi, le foto dell’incuria verso se stessi, dovrebbero imporci di smetterla con la propaganda, cominciare a progettare nuove soluzioni e a costruire un futuro migliore per tutte e per tutti. Insieme, sottraendo tutto lo spazio possibile ai proclami, agli azzardi, alle insensatezze, alla polemica inutile e fragorosa, che coinvolge tutti per qualche ora, per poi passare alla prossima polemica, senza soluzioni concrete e senza soluzione di continuità. E progettare si potrà fare soltanto con serietà e rigore e senso della misura – prerogative che non abbiamo visto in passato e che non stiamo vedendo certo in queste ore, tra fake, biechi calcoli, sparate arroganti e senza alcun fondamento.
Per cortesia, basta. C’è un paese da rimettere in piedi.
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