Indifferenza in senso proprio: incapacità di fare la differenza. Che spesso tradisce l’intenzione politica di abolire tutte le differenze. Fra un contesto e un altro, come fra giusto e sbagliato, vero e falso, onesto e disonesto, destra e sinistra, sapere e ignoranza; per confermare l’unica differenza che il populismo prometteva di abolire: quella fra chi ha il potere e chi non ce l’ha.
Così scrive Michele Smargiassi.
E l’indifferenza dilaga, anche nei contenuti, forte dell’incoerenza, che a sua volta è una forma di indifferenza e di mancanza di rispetto, anche verso se stessi. Ma dicono sia utile e vincente, del resto la coerenza non è più una virtù e, cosa ancor più grave, «non paga».
E tutte nascono dalla suprema indifferenza, verso le persone, verso la realtà, verso la società, nella convinzione che sia sempre più un mors tua, vita mea, iniziando con quelli che puoi lasciare in Libia o sequestrare al largo, per finire con quelli che sono più poveri di te, che hanno troppe pretese.
«Abbiamo già i nostri problemi», si sente ripetere a ogni occasione, peccato che i nostri problemi si possano risolvere se si trova una soluzione ai problemi degli altri. Come ricordava Enea, mitologico fondatore che oggi compare sulle t-shirt dei nazi italici (che non sanno o non ricordano da dove venisse), quando ricorda a suo papà che se il pericolo incombe ed è comune a tutti, anche la salvezza sarà comune. Una, per tutti.
Prima noi, poi gli altri, dice uno slogan declinato in tutti i modi possibili. Dove scrivo, funziona così: prima gli italiani, prima i veneti, prima i veronesi, prima casa mia, prima noi, prima io. Degli altri è giusto, anzi, è necessario essere indifferenti. Nessuna responsabilità, perché le responsabilità non sono mai di chi si indigna. No, alle proprie responsabilità è il caso di essere indifferenti. Non contano. Non ne parliamo più. Abbiamo già i nostri problemi.
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