Siete frastornati dal chiasso della cronaca politica? Dalle urla di gioia dai balconi, dal rombo degli aerei pronti ai rimpatri? Se volete un po’ di pace, vi consiglio di passare un sabato pomeriggio a Camerino. Noi ci siamo stati sabato scorso. Gli edifici sventrati, le camionette dell’esercito che presidiano la zona rossa, le putrelle della messa in sicurezza colorate di giallo o di azzurro. Un silenzio assoluto, nel quale vivono da più di due anni le popolazioni colpite dal terremoto nelle Marche. Ascoltando quel silenzio, ci si vergogna un po’ di tutto il rumore inutile che viene fatto altrove. Ci si rende conto che nessuno si sta occupando di una delle poche cose che contano veramente. La chiamano strategia dell’abbandono, perché non sta bene dirlo ma chi vive da quelle parti l’ha capito benissimo: niente verrà ricostruito, tutto rimarrà così finché in quei posti meravigliosi dalla storia millenaria non ci sarà più nessuno da aiutare semplicemente perché non ci sarà più nessuno.

Il problema, però, è che chi vive lì non ha nessuna intenzione di andarsene. Ad Amandola abbiamo incontrato degli imprenditori della zona, gente che abita in quelle che chiamano Soluzioni Abitative d’Emergenza, in attesa che quel che resta della loro casa venga demolito (ma non sanno ancora quando succederà) e con la promessa che una nuova casa verrà costruita (e nulla fa pensare che questo potrà veramente succedere), si scaldano con delle stufe regalate da un benefattore straniero, hanno ricostruito il granaio grazie a una colletta privata e, nonostante tutto, continuano a lavorare, a produrre, a fare PIL per tutti noi.

Se passate per i monti Sibillini un fine settimana di questi, vi accorgerete che c’è un’Italia che ha abbandonato se stessa e un’altra che non vuole mollare. C’è un’Italia piena di livore che urla, insulta, cerca nemici per prendere voti, fomenta le paure e lascia tutto com’è e un’altra che vive nel silenzio, parla sottovoce e continua a farsi il culo nonostante tutto per ricostruire, per cambiare le cose, per rimettere in piedi quello che è caduto. Ognuno ha il diritto di decidere da che parte stare e non è difficile fare la scelta giusta, basta smetterla di dar retta alle urla e imparare a ascoltare il silenzio.

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