L’indignazione di questi mesi dice che finalmente c’è una reazione a ciò che i tempi dettano, dopo troppi anni di apatia e di sostanziale indifferenza.
Le prime forme di organizzazione di questa mobilitazione fanno sperare in un anno di partecipazione politica, un impegno che non si vedeva da tempo.
Restano parecchie cose, appena accennate. Si parla molto di contenitori, di fronti, di schieramenti e troppo poco di sostanza. Allo schifo della manovra del governo e di questi mesi bruciati in stronzate, cosa contrappongono gli altri?
Da casa lo si percepisce poco.
Era naturale che dopo la Caporetto del 4 marzo ci fosse un periodo di sbandamento. I generali peraltro non sono cambiati, al massimo sulla scena si affacciano i colonnelli, tra loro indistinguibili e incapaci di imprimere una svolta, rispetto al recente passato.
La domanda però è più grande delle quisquilie interne alla politica politicante e alle correnti interscambiabili.
Perché, oltre alla denuncia, qual è la proposta?
Il fatto che ci sia un eccesso di confusione non ci deve far dimenticare quali sono le nostre «questioni». Il nostro manifesto, le ragioni per le quali ci battiamo.
Nella campagna elettorale del 2018 è stato letteralmente impossibile parlarne. Per via di un sistema elettorale truffa, imposto dagli uni, e per via di una campagna elettorale truffa, interpretata dagli altri. Qualsiasi proposta ragionevole era travolta dalla propaganda, dal calcolo elettorale (sbagliato), dall’incapacità di individuare – già da allora – le cose che contano.
Dopo pochi mesi quelle promesse smisurate, fuori di sesto e senza proporzione alcuna, sono già state sbugiardate dalla realtà: anzi, dai promotori stessi.
Alla fanfara della maggioranza rispondono voci molto timide dall’opposizione, quasi tutte rivolte al passato, senza alcuna riflessione critica. Quasi che il disastro degli attuali costituisse una sanatoria degli errori dei precedenti.
Mancano idee e pensieri.
Non si parla di valore del lavoro, non si parla di progressività, non si parla di investimenti. Non si parla di clima. Si parla molto male di scuola.
Che ne dite di “ripartire” da questi punti, con proposte puntuali, radicali e però possibili? Il salario minimo (associato al rispetto delle condizioni ‘minime’ per la dignità del lavoro), un nuovo patto fiscale che riduca le disuguaglianze (altro che flat), una strategia energetica che ci metta in pochi anni all’avanguardia, la ricerca come chiave per il futuro, per il diffondere il benessere, per garantire ai nostri figli una stagione più equa e più ricca, per tutti.
Loro uscivano dall’euro, chiudevano le frontiere e davano soldi a tutti. Non lo faranno, anche se ancora ci sperano. E noi?
Insomma, è giusto fare rete contro il degrado e vanno ringraziati tutti coloro che da qualche mese si sono mossi e messi all’opera. Non solo è giusto, è necessario, ma forse non è sufficiente, se non ci si pone una domanda ulteriore: quali sono i fili politici di questa rete?
E quali sono i nodi fondamentali? Non dodicimila, quelle tre cose che vorremmo, di cui abbiamo bisogno, che vogliamo vedere realizzate.
Degli esponenti di governo sappiamo anche che cosa mangiano, ma tutto il resto cosa ci propone?
Soltanto se si troverà una prospettiva, l’opposizione avrà senso e legittimità e forza.
È un esercizio, quello che vi consiglio.
Qual è la vostra «questione» per il 2019?
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