Foto di Diletta Huyskes
«Noi vediamo solo mare». Inizia così Fine, il romanzo che abbiamo scritto con Marco Tiberi. Non sono le dolci piogge di marzo, quelle cantate da Elis Regina, che chiudono l’estate dell’emisfero australe. Qui la chiusura è definitiva.
È la natura che ci liquida, che fa a meno di noi. È la minaccia che dovrebbe portarci all’azione, quell’azione che dovrebbe scongiurare la fine.
Fine è il diario di qualcosa che potrà sembrare distopico (ogni volta il correttore trasforma questa parola in «dispotico» e anche questo dovrebbe farci riflettere) ma in verità è solo ciò che stiamo vivendo già, che parte consistente del genere umano già conosce, ne fa esperienza quotidiana, e quando non piove acqua, è l’acqua a mancare e piovono bombe e missili.
Cose che facciamo finta di non vedere, che destano sorpresa, in alcuni casi sconcerto. Ma lo sconcerto vero lo sta offrendo chi potrebbe fermare questa deriva, quella di una barca in avaria, in mezzo a un mare di niente.
La citazione che abbiamo scelto per ‘aprire’ il libro è di Derek Walcott, «C’è troppo nulla qui», un verso a cui ero molto affezionato – nella mia vita precedente, in cui mi occupavo di storia della filosofia e delle idee.
Per Walcott era la foresta (pluviale, guarda caso): abbiamo abbattuto anche quella. Il cannibalismo per Walcott era centrale, nelle fauci della grande selva primordiale. Non abbiamo capito che cosa volesse dire la poesia. E nemmeno la scienza.
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