Molto more sforzato, dice Muti, che a volte si concede un linguaggio in cui le lingue si mischiano, in un accenno di grammelot. Del resto lui l’esperanto lo conosce e lo dirige.
Molto more sforzato, anche l’ultimo tratto, a 70, perché i kmh sono inversamente proporzionali ai kwh. Soprattutto se si pensa che presto la strada inizierà a salire e il passo appenninico non è a un passo, per chi viaggia elettrico. Ci avventuriamo con il rischio di ritrovarci nel più classico dei “qui non si va né avanti né indietro”, che pare essere stata la vera frase di Calatafimi – che poi passò alla storia come “o Roma o morte”. In ogni caso, per noi si tratta più prosaicamente di “o Firenze o il carroattrezzi”. Spingitori di furgoni. Il cavo è tratto.
Compaiono scritte così. Piadine miliari. Alla prima resisti, alla seconda sbandi, alla terza sei come calamitato. Il triangolo dello squacquerone.
Piadin piadina – perdonatemi – arrivo a Imola.
Colonnina, colonnina storna. A Ravenna una delle stazioni più comode era al centro di un cantiere stradale, irraggiungibile. Anche a Imola problemi di avviamento, assistenza, dall’altro capo del filo risponde il call center che poi chiama qualcuno (il call center del call center?) e risolve (si chiamerà Vincenzo, il tecnico?). Il furgoncino si ricarica.
L’operazione si svolge a quaranta gradi. A un certo punto speri che tutto quel calore si trasformi in energia per il tuo van. Un giorno, ne sono certo, sarà così. Un giorno.
La libreria Il Mosaico è strapiena, Alfonso Cuccurullo fa la sua parte nel solito modo improvvisato e perciò magistrale, Chiara Spadaro spiega con puntualità che cosa possiamo fare per uscire dalla plastica tutti insieme e singolarmente (Plastica addio, Altreconomia), Stefano Catone descrive il proprio andare lungo i confini, che si sciolgono, come neve al sole – espressione da adottare in senso letterale. Il suo libro uscirà a ottobre, anche se fa capire Catone che non bisogna mettergli fretta. È pronto per il People Van.
A Imola pare di essere sul Mekong, ma la sera la temperatura si abbassa e la lingua si scioglie. E i progetti alla fine della giornata sono potenti tanto quanto erano dimessi sotto il sole giaguaro – qui si tratta di citazione da immaginare trasposta in un giaguaro vero, allo stato selvaggio, indomito.
In un angolo della piazza, il furgone attende.
Stamattina si parte verso Firenze, il Teatro dell’Opera, musica, reading, libri. Come se fosse un gran finale che non lo è, perché poi ci sarà Perugia, e poi scenderemo verso la Capitale. Il viaggio continua e sembra non finire mai, a dispetto del romanzo a cui è associato.
È sempre la “tappa zero”, direbbero gli statisti (zero) che guidano il paese. L’attesa della successiva è la vera questione, l’unico interesse.
E, a volte, sarà per la stanchezza, sarà per la noia, sarà per la costanza, anche, ma ci sono momenti che su quella statale c’è una sensazione come di felicità. Silenziosa. Passeggera. Come il mezzo, solitario, schiantato in mezzo alla pianura, che ti sembra di essere sempre a metà strada. Nel bel mezzo. Si dice così.
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