Nelle vene del vecchio esploratore il sangue bruciava come fuoco. Azione e coraggio erano tutta la sua vita. Il desiderio d’avventura era stato per lui il motore di ogni cosa fin da quando, adolescente, aveva letto delle spedizioni di Franklin nel passaggio a nord-ovest ed era stato nella folla che aveva festeggiato con sfrenato entusiasmo il ritorno di Fridtjof Nansen dalla Groenlandia. Si era posto obiettivi tanto audaci che nessun altro avrebbe avuto il coraggio di renderli pubblici. Con una temerarietà non comune era sempre riuscito a cavarsela in mezzo agli intricati problemi che si creavano intorno a ogni nuova impresa, che si trattasse di creditori o rivali, del disappunto di Nansen o del coro di maldicenze di chi aveva ferito o offeso nel corso degli anni. Come nessun altro, era riuscito a portare a termine tutti i suoi intrepidi progetti. Erano questi i semplici fatti che aveva voluto spiegare nell’autobiografia Mitt liv som polarforsker (La mia vita di esploratore polare).
Monica Kristensen ha scritto un grande libro, difficile, lungo, talmente dettagliato che a volte ti viene voglia di prendere e volare via. Ma poi ci torni, con calma, prenditi il tuo tempo, non è WA, è un libro, c’è una grande epopea dentro, e storie piene di fascino e di incertezza, insieme. E anche se non sei mai stato alle Svalbard, prendi un volo anche tu, e ti imbarchi su una rompighiaccio. Nel bianco totale.
L’ultimo viaggio di Amundsen (Iperborea) ha pagine bellissime e capitoli di suspense vera, anche se tutti sanno o capiscono benissimo come andrà a finire questa storia (anche se…).
E leggere di Nobile, delle spedizioni polari, del grande norvegese fa pensare, mentre brucia la Siberia, lo stesso ghiaccio va a fuoco, Trump dice che vuole comprare la Groenlandia, fa una certa qual impressione.
Nel frattempo Sergey Brin punta sui dirigibili. L’ingegnere che li progetta fa Pasternak, di cognome. E allora ditelo.
#ilibrideglialtri
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