E così ci siamo trovati a convivere con Nina, per giorni e giorni. Senza andare a scuola o al lavoro, tra appuntamenti che saltano, e rinvii, e compiti a casa, e cose da inventarsi ogni momento per non lasciarsi sopraffare dalla noia.
Le maestre scrivono, ci mandano chilometri di operazioni, di cose da leggere, di schede da completare. Mandano belle lettere ai bambini, per tenere un filo che rischia di perdersi, mentre nella chat delle mamme è subito panico. Così come il metodo per le addizioni, le maledettissime doppie, che a casa ormai chiamiamo dopie, rassegnati che non ne azzeccheremo mai una.
Là fuori non si muove nulla, è tutto rarefatto. E noi a casa. Isolati o quasi.
Non capita mai di stare tutto il tempo con i propri figli. Noi abbiamo impegni, loro – e non è un paradosso – anche di più. Non capita spesso di non avere orari e di dover pensare a come organizzare la giornata. Con loro. Alla pari, potremmo dire.
Certo, ci sono le vacanze, ma non è la stessa cosa. Le vacanze sono un momento diverso, qui è proprio il quotidiano che si stringe, intorno a noi.
Nina mi chiede del mio lavoro, continuamente interrotto perché lei chiama «Papiii!» con una cadenza regolare ogni due minuti, rispondo ad alcune domande curiose, stiamo anche facendo una cosa che si è inventata lei, un’idea che ha a che fare con animali eroici, ma non posso dirvi altro, è un segreto industriale.
Per farle fare i compiti, lezioni sostitutive di quelle perse a scuola, fingo di essere una maestra con un accento strano, tipo Mrs. Doubtfire. Si chiama Giorgina. E Nina, che è maestra nel mangiar la foglia, quando si sveglia per prima cosa si assicura che Giorgina oggi non venga a trovarci. Ho provato con Antonello, quello di italiano: è andata anche peggio.
Le faccio da mangiare e ogni volta «è buono, ma». E «ma» sta per: «lo fanno meglio le nonne», «non è proprio così che si cucina», «il cuoco della scuola materna era molto più bravo». Addirittura.
Se usciamo è per una spesa minima e per le figurine, che incredibilmente esistono ancora. Me contro te, soprattutto. Una piaga sociale.
Abbiamo avviato una sfida, lei la chiama challenge (!), per scrivere le lettere delle parole tutte con le stesse dimensioni. Per Nina, che ha una capacità disordinativa – si dirà così? – invidiabile, non è uno scherzo. Però vincerà un premio, alla fine.
Ieri ci siamo inventati una storia in cui i tre porcellini alla fine diventano amici con il lupo. Che, non ne eravamo consapevoli, è anche un po’ una metafora della situazione, i tre porcellini chiusi in casa, quello più previdente vince. Però non è il caso di picchiarlo, il lupo. Le cose si possono sistemare.
La sera, i ruoli si sono invertiti, perché sapendo di non dover andare a scuola, lei non intende andare a dormire prima che sia tardissimo. Lo dice con orgoglio, lo rivendica. Potesse, mi metterebbe a letto lei. Per poi continuare a fare ciò che le piace. Cartoni, colori, disegni, una mostruosa attività di découpage di ogni cosa, anche qualche iniziativa gastronomica non sempre riuscita.
Ogni giorno una storia, una favola, un gioco nuovo. Non avremmo bisogno di un virus per capire quanto possa essere normale.
Ora vi lascio, perché si sta per svegliare. E chissà che cosa faremo oggi, per vivere una giornata diversa dal solito, più bella del solito, ai tempi del Corona.
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