Chissà se faremo tesoro di ciò che sta accadendo, o se continueremo a scegliere chi considera tutto ciò che è pubblico residuale, inutile, addirittura fastidioso, a partire proprio dalla sanità, vagheggiando modelli d’Oltreoceano. Se continueremo a preferire chi non ha mai investito nel sistema della ricerca, se non le briciole, perché elettoralmente non paga e insomma chissenefrega. Se insisteremo con l’opzione turbo-darwiniana, che nega per definizione la solidarietà come una cosa di cui fare assolutamente a meno.

Chissà se continueremo a chiedere soluzioni d’emergenza, misure tampone (si chiamano così), mance elettorali, o se scopriremo una parola nuova: investimenti.

Chissà se ricorderemo ciò che scriveva Mattia Torre in un libro che mi è tornato spesso alla mente in questi giorni (La linea verticale, La Nave di Teseo): «voglio pagare le tasse con gioia, perché un ospedale pubblico mi ha salvato la vita senza chiedermi nulla in cambio».

Chissà se avremo imparato ad avere pazienza, a preferire la riflessione alla battuta di spirito, il progetto al «clash», allo scontro, al fuoco d’artificio, all’intemerata, come ci spiega Christian Salmon (Fake, Laterza).

Chissà se, presi dal panico dalla sola idea di rimanere a casa rinunciando per qualche giorno alla nostra libertà, agli aperitivi e alle feste e al maledetto centro commerciale, capiremo le ragioni chi non può stare a casa perché la casa non ce l’ha, e non ha l’acqua, e non ha risorse, perché è bombardato, perseguitato: se capiremo chi non può prendere d’assalto un supermercato perché l’unica sua opzione è la fame.

E chissà se ci porremo il problema di ciò che potrebbe accadere, in termini climatici e sociali, se questi frammenti di distopia che stiamo vivendo fossero generalizzati. Quando con Marco Tiberi abbiamo scritto Fine ce lo siamo chiesti, a ogni pagina: che cosa potrebbe accadere a noi, ai nostri figli, se il mondo collassasse, se collassassero le istituzioni, se non perdessimo le nostre sicurezze, che non sono certo quelle sbandierate per decreto. Non era un esercizio di stile e non è la presente, un’esercitazione. È qualcosa di reale, che può accadere e che accadrà in misura molto maggiore di quanto non vediamo nella pianura padana in queste ore.

«Zone rosse», le chiamiamo. Ecco, il mondo intero sta diventando rosso, rosso fuoco. E il contagio è già iniziato. Tutto il mondo è Codogno, da questo punto di vista, e sia detto con la massima solidarietà per gli abitanti della cittadina lombarda. Bollare come profeti di sventura quelli che ce lo ricordano ogni giorno è insensato, come molte cose a cui assistiamo oggi, all’insegna dell’unica cosa che sembriamo perseguire scientificamente: l’irresponsabilità.

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