Eccoci. Si chiude ancora a macchia di leopardo, per ultima Piacenza, oggi. I dati di Bergamo – quelli reali – sono agghiaccianti. Si teme per il Sud. Insomma, si insegue il virus, che pare sia già scappato. L’intervento sulle fabbriche e sui luoghi di lavoro arriva tardi e con poca decisione. E ancora, incredibilmente, se ne discute. A rendere tutto più complicato è il fatto che anche i numeri sono da prendere con i guanti e con la mascherina, anche, perché nulla è certo, in questo momento.
Vale la pena, per un momento, di pensare al dopo. E di attivare l’orobilogio, quello di Stefano Benni, in Saltatempo. Ve lo ricordate? Un orologio interno, che ci porta avanti e indietro nel corso dei giorni. E che nel nostro caso ci farebbe vedere come saremo tra qualche settimana, qualche mese, appunto. Ci si può muovere, anche stando fermi. E mi auguro che tutti stiano ragionando in questo modo, soprattutto chi ha potere, chi ha accesso alle informazioni, chi ne sente la responsabilità.
Perché ora serve un progetto per il Paese, non soltanto una dichiarazione dietro l’altra, come se poi magicamente le agenzie di stampa andassero a comporre chissà quale mosaico. Qualcosa che vada oltre l’uovo di Pasqua, che appassiona qualcuno. Che vada oltre il nostro naso, nel Paese dei nasi corti, cortissimi.
Perché dovremo sapere cosa ci serve, per prepararci alla quarantena dopo la quarantena, al ritorno del virus – se non interverrà un vaccino, i cui tempi non sono così brevi – a ciò che accadrà in un regime che sarà di semilibertà ancora a lungo.
Ma non solo, per il virus. Anche per il resto. Perché è anche del resto, soprattutto, che si tratta. Il Coronavirus ha devastato le nostre priorità, dovremo rimetterle in fila, dopo che sono state così scombussolate. Unità e liquidità, sono le parole d’ordine, ed è giustissimo, ma per fare cosa? Con quale strategia? Con quali obiettivi?
L’Italia era già provata prima del virus, per tante ragioni. Era in debito pubblico, di ossigeno e di speranza, anche.
Sarebbe straordinario vedere la nostra classe dirigente esercitarsi su questo. E fare proposte, progetti, proporre idee. Il tempo delle furbizie non è finito, ma andrebbe bandito per decreto. Un’ordinanza dovrebbe vietare le parole non essenziali. E provare a guardare più in là.
Sento parlare di droni, con quello che mi pare un eccessivo piglio bellico, per controllare i cittadini (anche le metafore belliche, gli eroismi, ecc.: diffidarne sempre è la prima regola, in una democrazia). Forse, in proposito, i droni dovrebbero servirci per guardare da un’altezza superiore e, quindi, più lontano.
Il nostro sistema della ricerca è in forma e, per essere chiari, è finanziato in modo adeguato? Usiamo davvero tutte le tecnologie di cui siamo in possesso per fini sociali? Siamo certi che il nostro modello di mobilità è il migliore possibile? La sanità di cosa ha bisogno? L’amministrazione pubblica è abbastanza smart? Cosa fare per ripensare a un rinnovato patto sociale, che non può funzionare solo perché siamo tutti tenuti a stare a casa? Quando si parla di ambiente e di clima, siamo sicuri di volerci voltare (ancora!) dall’altra parte?
Queste settimane non saranno sprecate solo se ci faremo queste domande. E se faremo davvero tesoro di tutto questo. Sarebbe un crimine sprecare il tempo, proprio ora. Per limitare i danni, certo. E per allargare gli orizzonti, però, anche.
Saltare il tempo non significa lasciarlo correre, per tornare a prima. Non dobbiamo passare la “c’era”, dobbiamo misurarci sul “ci sarà”. Perché “andrà tutto bene” è una domanda, rivolta alla politica, non un’affermazione da comizio. E, incredibilmente, potrà andare anche meglio. Se ne saremo capaci.
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