Un mes ancora. Ancora lunga. Ancora nulla.

Non si apre ad aprile, del resto lo avevamo detto a marzo. Tre settimane ancora, qualcuno dice addirittura cinque. I dati migliorano ma siamo ancora lontani dalla tranquillità. Troppe situazioni drammatiche, troppe regioni – intere – ancora sotto botta, troppe incertezze per quelli che abbiamo chiamato eroi ma non siamo riusciti a proteggere, se è vero che tutto il mondo della sanità, a ogni livello, è funestato da lutti e esposto a pericoli colossali (leggete le pagine del diario di Giulia Montorzi per rendervene conto). Se non ci prepariamo ora, saremo condizionati dal virus a lungo, per molti mesi ancora.

Avete presente quei cartelli: «Chiude tutto, nuova gestione»? Ecco, abbiamo chiuso tutto, della nuova gestione non si percepisce ancora alcun elemento.

Ieri abbiamo parlato del modello Crisanti. Insistiamo perché si affermi, come primo punto per ripartire con prudenza. Per ora manca una strategia, a livello nazionale, in questo senso. Come manca ancora in campo economico e nelle scelte di fondo. Non mancano invece le polemiche e le strumentalizzazioni: non abbiamo ancora riaperto e fakisti e non sono già tornati alle solite cose. Non hanno riaperto i cantieri, ma le stronzate sì.

Anche una proposta soft come quella del contributo di solidarietà per i più abbienti è rigettata – quasi fosse una provocazione – dallo stesso premier e da tre quarti della maggioranza. Volano cifre colossali che hanno un’unica caratteristica: non sono nelle nostre possibilità. Chi parla di patrimoniale è accompagnato alla porta. E non può nemmeno uscire. La stessa progressività pare un tabù. Il risultato: come sempre la crisi la pagheranno i più poveri, che saranno invitati a rinunciare a qualche diritto (ancora!) per sbarcare il lunario. Accompagnati dall’inno dai balconi e dalla retorica da strapaese perché siamo tutti brava, bravissima gente e andrà tutto bene. Di più.

Anche i porti si chiudono, ed è la prima volta che accade davvero. Nessuno o quasi pare averlo notato.

Idee nuove non se ne vedono. Si è molto sentito parlare di clima e di ambiente, nelle prime settimane di quarantena. Il tema non ha avuto lo sviluppo che avrebbe meritato. Gli incredibili ritardi dal punto di vista tecnologico non sono considerati ancora strategici. L’immobilità non sembra portare ad alcuna riflessione sulla mobilità.

Chiediamo aiuto, lo pretendiamo, ma non siamo affatto sicuri di meritarcelo.

L’impressione è che ci siamo rassegnati. Al virus. E al fatto che torneremo come prima, solo un po’ peggio. Che era difficile peggiorare, ma possiamo farcela. «Andrà tutto in mona», diceva ieri sera Andrea Pennacchi in tv, in forma di Pojana. E ci andrà sul serio, soprattutto se continueremo così. A farci del male. E non solo per il virus e con il virus. Anche senza, come sempre.

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