Mi ha sempre colpito che Alex Langer lo citassero tutti e non lo praticasse nessuno.
Mi ha sempre colpito che la sua voce non provenisse dal passato ma dal futuro e mi colpisce che ciò accada ancora, venticinque anni dopo. Il tempo di una intera generazione.
Mi ha sempre colpito che i suoi scritti fossero così politici da essere considerati dai più estranei e lontani da quella che definiscono politica. Visionario, dicevano, come se essere visionari fosse un difetto, una mancanza, un limite.
Langer è sinonimo di fraintendimento e di incomprensione. È inattuale, ancora oggi. E potente proprio perché mite, capace di sottrarsi, lontano nel tempo anche quando era in attività. Un’attività frenetica, generosa, irresistibile.
Ricordarlo non può essere rituale né commemorativo perché la sua agenda è ancora tutta lì, squadernata davanti a noi, a indicarci una strada fatta di ponti, di guadi perigliosi, di salti ai maledetti muri che ci dividono. Lo sguardo è lungo, profondo. Vede lontano e distante ma non lo è mai. Sale in alto e scende dove di solito la nostra superficialità ci consiglia di non inoltrarci.
È rimasto poco più di un ragazzo e forse ciò ci aiuta a pensarlo come allora. Più a lungo, che è quasi il significato del suo cognome (länger, sarebbe, in tedesco).
Leggetelo, ragazze e ragazzi che siete nati dopo la sua morte, avete cose bellissime da imparare, che non immaginate nemmeno.
E forse voi, dopo averle lette, sarete anche capaci di farle.
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