Lettura consigliatissima per la settimana in cui torna lo sciopero globale per il clima, il libro di Matteo Righetto racconta una storia, ambientata nell’alta val Venosta, nei pressi del lago di Resia (quell’invaso artificiale da cui spunta un campanile al centro del romanzo di Marco Balzano, Resto qui), alla fine del nostro mondo.
Il punto di partenza è l’affascinante abbazia di Monte Maria, il punto di arrivo è il sacro Ortles, la vicenda è quella di Bruno e di Johannes, destinati ad incontrarsi quando tutto sembra perduto.
Che le cose volgano al peggio lo si capisce fin dal titolo e una pagina bellissima lo dichiara, in modo lapidario, all’inizio del libro:
L’equilibrio che aveva sempre governato l’aria e gli elementi sulla terra negli ultimi anni era mutato rapidamente. Tutto era cambiato.
In principio vi furono tempeste sempre più frequenti e violente, trombe d’aria di inaudita potenza alternate a frustate di gelo improvvise.
Poi fu la volta delle piogge torrenziali e delle alluvioni.
Ultimo, venne il caldo.
Ci sono le api, consapevoli più di quanto lo siamo noi, come in quel memorabile discorso di Svetlana Aleksievič («sanno cose che nessuno sa!») e c’è quindi un’arnia come un’arca.
C’è il futuro dell’umanità e c’è quello del pianeta, che per certi versi coincidono, per altri proprio per nulla.
C’è una favola dall’esito incerto e l’invito dell’autore è quello di farsene carico. Di raccontarla, appunto, e di fare qualcosa, come Bruno e Johannes, sulle vie impervie e i sentieri interrotti che ci tocca percorrere, se vogliamo salvarci. Pensando alla piccola Leni e a chi verrà dopo di noi, prima che tutto vada distrutto. Da noi, perché è di noi che si tratta.
Sono i nuovi barbari, anche se non li vediamo, perché dimorano dentro di noi…
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