Toti e la Totentanz intorno agli anziani, le sparate quotidiane di questo o di quello, lo stillicidio di bozze e controbozze che creano solo confusione e fastidio. Una generale incertezza che grava sul Paese. Come se fossero mesi piombati.
Siamo intervenuti tardi e qualcuno sapeva benissimo che i focolai andavano formandosi in alcune province. Si era detto che li avremmo isolati e fermati subito, non è stato fatto. Si era detto che avremmo studiato i piani degli orari e dei tempi delle città per agevolare la mobilità, non è stato fatto. Si era detto che non avremmo reagito con misure di emergenza, perché sapevamo ormai di che cosa si trattasse, non è stato fatto.
Insisto, da osservatore – anche se nessuno è davvero osservatore, perché siamo tutti parti in causa: che si prenda una decisione, benché sia tardiva, che si scelgano criteri scientifici, che si diano tempi il più possibile certi. E che chi può, faccia. Si muova, inventi, risolva. Non posso pensare che l’Italia si abbandoni, si lasci andare, in una sorta di piccolo e sfigato millenarismo.
Tocca alla classe dirigente, sempre che esista ancora, prendere in mano le decisioni, farsene carico. E non parlo solo della politica. Parlo di chi ha potere. Non è colpa degli ultimi, ma dei primi, di chi guida. Che pare costantemente interessato al proprio tornaconto elettorale o economico più che al bene comune.
Non mi schiero sugli spalti di tifoserie oggettivamente imbarazzanti. Chiedo linearità, puntualità, congruità.
Si può essere cauti senza piantarsi. Si può continuare a lavorare con criterio e costanza, affrontando limiti che venivano da prima del Covid. E si può – si deve – concedere ogni spazio di libertà personale che non sia pericoloso per sé e per gli altri. Senza forzature, senza lassismi.
Se continuiamo così, ci facciamo male sul serio. E non sono le rivolte di piazza, a preoccuparmi. È la più generale involuzione di un Paese che non si percepisce più come un luogo in cui i problemi si affrontano insieme.
Nella nostra piccola Srl, tra sospetti Covid e ahinoi Covid veri e propri, abbiamo fatto fronte al disastro di marzo e ci apprestiamo a fare lo stesso con il disastro di novembre (e dicembre e gennaio e…). Gli stipendi e i fornitori si pagano sempre, senza alibi. Il telelavoro si fa ogni volta che si può. Gli appuntamenti pubblici – per noi fondamentali – sono stati sospesi prima che ce lo dicessero i Dpcm. Chi sta sopra, rinuncia: a chi sta sotto non lo si può chiedere per nessuna ragione al mondo. Bloccare progetti e investimenti, rinviarli sine die, può essere ferale, perché chissà quando arriverà, quella dies.
La riduzione dei ricavi invita a scovare nuove soluzioni, a fare meglio le cose che facciamo, a chiederci che cosa succeda intorno a noi. Perché oltre a mutare il virus, muta la società. Cambia pelle. E la pelle che c’è sotto non è per nulla migliore di quella che si è staccata, per sempre.
Come già per cataclismi e terremoti sono al lavoro gli speculatori. Fermiamoli con un progetto di società che è proprio quello che mancava. Mancava anche prima, ora soltanto si nota di più.
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