Oggi, maglione tipo islandese di ordinanza, mascherina effeeffepidue, la vecchia Skoda di Romano, le cassette dei Creedence, andiamo a vedere una libreria che ci ha accompagnato in questo 2020.
Lo facciamo perché è in momenti come questi che si deve progettare il futuro. Non stare a guardare il muro.
Il 2021, appena sarà possibile uscire da Instagram e dalle cazzo di dirette che mi pare di essere diventato la D’Eusanio, saranno le librerie al centro dell’attività e della promozione di People. Promozione commerciale, certo, perché come insegnava Manuzio – il primo editore, diciamo così – i conti devono tornare (e il nostro hashtag è pur sempre #brianza) – ma soprattutto culturale.
Mentre passano i giorni, le settimane e i mesi, stiamo perdendo tante, troppe cose. Non solo economiche. Stiamo perdendo pezzi – verrebbe da dire, brandelli – di cultura. Nessuno se ne preoccupa, perché non è considerato un «lavoro». Anzi. Pare uno sfizio, un lusso, come spiega molto bene uno degli autori People a cui siamo più affezionati, Massimiliano Loizzi. Ed è curioso che chi vive nel lusso veda crescere le proprie ricchezze, chi inventa storie, sogni, futuro sia relegato a un ruolo marginale. Quasi desse fastidio – perché dà fastidio, questa è la verità.
I grandi editori e distributori si sono fatti mangiare da Amazon per la loro miopia e per la difesa delle loro rendite di posizione (maledetti): è il momento che si progetti un modello diverso, più collaborativo, perché i libri sono così, e così devono essere gli editori, i librai, gli autori.
E nessuno più al mondo deve essere sfruttato, perché si parla molto dei capannoni di Amazon ma di quelli di Stradella, quelli “nostri”, quelli “italiani”, vogliamo parlarne?
Chi pensa che la cultura non serva o possa essere liquidata così è cieco. E cadrà in un buco, se non è caduto già.
Nero, come la pece. Come la morte, civile, culturale e politica.
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