C’è un difetto strutturale, ontologico, della Real Politik: che è inevitabilmente conservatrice. E il realismo, spesso sbandierato, nasconde il tentativo di non cambiare mai nulla e, peggio ancora, di fare le cose nello stesso modo di sempre. Per non rompere gli equilibri, per trovare la quadra, per tenere insieme tutto e tutti.

Ecco, forse il realismo è un’altra cosa: di fronte ai cambiamenti climatici, è quello di avviare un grande processo collettivo – al di là dei fondi del recovery – perché cambino parecchie cose.

Di fronte all’economia, e a un patto sociale che è saltato per aria, letteralmente esploso, essere realisti è chiedere progressività, patrimoniale, riforma del catasto, contrasto all’evasione e all’elusione.

Di fronte alla vendita di armi, essere realisti significa non sostenere regimi in cui è violata la libertà personale, creando le migliori condizioni per flussi migratori difficili da gestire (soprattutto per i paesi attigui, in cui intere regioni sono adibite a campi profughi).

Di fronte alla cannabis, per fare un esempio “minore” ma solo fino ad un certo punto, essere realisti significa legalizzarla, perché la legislazione attuale non funziona e il proibizionismo peggiora le cose.

Ecco, siate realisti. Sul serio, però. E con lo sguardo alla realtà, quella che c’è e quella che potrebbe diventare. Perché la sinistra – fin dai tempi di Hegel – muove proprio da questa intuizione. Anzi, da questa mozione.

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