A grande richiesta (si fa per dire) la collezione dei post per il Post dagli Stati Uniti. Un piacere e un privilegio poter fare (e raccontare) questo viaggio.
In sintesi:
L’immigrazione, da Ellis Island a Tijuana. Il Tea Party, da Arcore a San Diego. La bomba a Times Square e la macchia nera nel Golfo. Un beignet a New Orleans, Capitol Hill con qualcuno che incontra Clinton per caso (ma io non c’ero), a cena con Nina e Trevor parlando di Move On, e poi con Francesca e Giovanni, un vaticanista per amico, un brillante austriaco, un danese di cui non si può fare a meno, un geniale irlandese, una grintosa reporter di Budapest. Il Dipartimento di Stato, cavoli. Un gumbo che ti fa venire in mente l’Africa, il Lincoln Memorial che si chiama così anche perché ti ricorda un sacco di cose, la Costituzione a Philadelphia, una partita degli Yankees che mentre ero lì perdevano di brutto (poi sono andato via ed è cambiato tutto), l’Iowa di Obama e quello di Cedar Rapids, il Mississippi e il Potomac e l'Hudson, il vento e gli oceani, la spiaggia di Coronado, le foche e la natura dappertutto, i bei giorni che passano e voi lasciateli passare, i controlli sempre e comunque, la biblioteca del Congresso, Thomas Jefferson e Alexis de Tocqueville, i rivoluzionari d’altri tempi e l’Health Care e le borse da sistemare, la legge dell’Arizona e le ronde del deserto, l’orgoglio (e il pregiudizio) di essere italiani all’estero, il ponte di Selma e quella notte a Chicago, l’iPad che non ho comprato, Ground Zero, l'alligatore per cena, il jazz in Frenchmen Street, i conservatori e i riformisti dell’Illinois, Katrina, la Statua della Libertà. Già. La libertà. E Little Italy. La nostra.
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