Sarebbe bello se lo Strega quest’anno lo vincesse un libro bellissimo di una casa editrice bellissima. Scusate l’ovvietà, ma come sapete il Premio funziona tipo congresso del Partito comunista cinese, incrociato con il Risiko, però.

E invece, il libro di Emanuele Trevi, Due vite, Neri Pozza dovrebbe vincere, proprio perché non è un libro da Strega, non si presenta come tale, non ammicca a nessun giurato (giuro), è meravigliosamente triste e profondo. Non è pensato per lo Strega, e quindi, proprio per questa ragione, dovrebbe vincerlo.

La sua non sembra bellezza, lo è. Lo è in ogni pagina, in ogni riflessione, benché sia struggente il ricordo di queste Due vite, che un po’ sono la sua, e sia straordinariamente triste ciò che ci rimanda, costellato di gioie folgoranti, però.

Due vite che lo sono pienamente, nel tracciato esistenziale, nella nostalgia di quegli anni che non torneranno, nelle persone che non ci sono più e però – perciò! – ci sono ancora. Nella fragilità che è difficile trovare così dichiarata, nella cognizione del dolore e insieme della speranza, che in queste due vite non si possono disgiungere mai.

Trevi scrive divinamente, talmente bene che allo Strega lo vivranno come un autore straniero, in grado di scrivere in una lingua diversa e irriducibile a ciò che è “normalmente” scritto, e pubblicato da editori maestosi, come se fosse di giacinto e d’oro e spesso è solo latta, sottile, ahinoi.

Trevi non parla di sé, parla di ciò che ha vissuto, in due vite che hanno attraversato la sua, e l’hanno cambiata. Nulla di assimilabile all’intimismo farlocco di chi solo di sé sa parlare, tra sé e sé, in un monologo interiore che sfianca, immiserisce, nichilizza ogni cosa, a cominciare dall’altro da sé.

Lo sto consigliando a tutte le persone che incontro, di ogni età, e il responso è unanime. E positivo. Spero che le Streghe siano due, una per ogni vita.

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