Dai Quaderni di Possibile, un pezzo prezioso di Davide Serafin (per approfondire si veda il nostro ma più suo Tax the rich).

Leggo stamane Dario Stevanato sul suo blog e mi accorgo che forse avevo liquidato troppo velocemente una questione rilevante e però passata inosservata della proposta del segretario del PD Enrico Letta sull’imposta di successione.

Innanzitutto Stevanato riconduce la genesi dell’idea all’economista Sir Anthony Barnes Atkinson, il quale, in un suo libro del 2015, aveva ipotizzato l’erogazione da parte dello Stato di una dote minima per tutti coloro che entrano nella maggiore età proprio tassando maggiormente i trasferimenti ereditari delle ricchezze. Stevanato è molto critico nei confronti di Atkinson – e quindi di Letta – per due ordini di motivi:

1. «vincolare l’eredità di Stato in modo dirigistico ad alcune finalità “nobili” mi sembra da un lato inefficiente sul piano allocativo, e dall’altro velleitario. Perché mai ogni individuo dovrebbe voler effettuare un sovrainvestimento in istruzione o apprendistato, o lo Stato dovrebbe volerlo per lui, evidentemente oltre gli ordinari percorsi di istruzione universali e obbligatori già sanciti dalla legge e finanziati col gettito delle imposte?»;

2. «Il tributo di scopo immaginato da Atkinson […] darebbe luogo come detto a un gettito vincolato nella destinazione […] Peccato però che un tale tributo […] non sarebbe collegato ad alcun servizio o carico pubblico. […] Lo Stato, in tutto questo, non svolgerebbe alcuna funzione né erogherebbe alcun servizio, limitandosi a redistribuire ricchezze da una categoria di soggetti (i destinatari di liberalità) ad una diversa categoria (tutti i cittadini divenuti maggiorenni)».

Ma quale sarebbe a questo punto la funzione dello Stato se i proventi della tassazione sono unicamente trasferiti da una classe di reddito a un’altra? Per quale ragione dovrebbe essere giusta questa redistribuzione e non quella effettuata per il tramite della erogazione di servizi pubblici? Lo ribadisco ora, ancor più convintamente: la proposta di Enrico Letta di trasformare il gettito raccolto in una ‘dote’ per i giovani è la solita riproposizione della formula del bonus. Una tantum da spendere in formazione e istruzione. Fate voialtri. Come se lo Stato non si occupasse di quelle cose, di formazione e istruzione, che sono quindi ridotte a fatto privato, a una scelta – ancorché obbligata – dei singoli individui. Eppure l’uguaglianza delle opportunità si realizza proprio nell’intervento pubblico: nella scuola, nell’università, nella ricerca, nella sanità. Distrarre quel maggiore gettito indirizzandolo alla spesa privata è un errore ed è ciò che distingue la proposta di Possibile sull’imposta di successione – che è tra l’altro inserita in un quadro organico di riforme fiscali – da quella del segretario del PD.

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