Genova, vent’anni fa. Sembra oggi. Soprattutto perché delle “cose” che quel movimento composito portava all’attenzione dell’opinione pubblica e dei potenti del pianeta non si è parlato più. Quel giorno più non vi leggemmo avante: derubricate dall’agenda politica, sottratte al mainstream, confinate e schiacciate.
Genova è stata, politicamente, un aoristo. Un punto assoluto, che vale per il passato, per il presente e per il futuro. E solo apparentemente confinato nello spazio, con una violenza sistematica che in realtà attraversa tutto il pianeta. Le parole di allora sono finite nel dimenticatoio, eppure sarebbero di straordinaria attualità, a cominciare dalle disuguaglianze, dalle questioni ecologiche, dalla redistribuzione della ricchezza, dall’equilibrio da ritrovare in un mondo che era già guasto prima della pandemia e ora si è guastato anche di più.
Vent’anni persi, che paiono un secolo, perché nel frattempo si è consolidata la dottrina opposta, tra la fine della storia e la convinzione che il mondo in cui viviamo non si possa cambiare, funziona così e basta.
Quelle parole però come in Fahrenheit 451 possono ritornare se troveranno nuovi interpreti. Se chi è giovane oggi saprà impararle, conoscerle, declinarle nel modo più corretto e efficace. Sottraendole per prima cosa a un dibattito che non ha bisogno di squadre in assetto anti-sommossa per zittire chi ha un’idea diversa e chi non si “adegua”, anche perché non ce la fa più.
Quelle parole, accompagnate da quell’entusiasmo possono e devono tornare. Altrimenti avranno vinto loro. Oggi come allora.
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